Quando la lotta alla ‘ndrangheta sconfina nell’arbitrio
Sono altamente lodevoli, e
certamente meritevoli di apprezzamento, gli sforzi che lo Stato sta facendo per
combattere la ‘ndrangheta, che con la mafia e la camorra, è una delle piaghe
dolorose del nostro Paese. Molti i sequestri e le confische dei beni che
provengono da attività illecite. Tutto bene fino a quando non si esagera e,
senza un limite, si corre il rischio di sconfinare nell’arbitrio. Sotto i
riflettori, spesso, è stata posta la provincia di Vibo Valentia, ritenuta dagli
inquirenti, una delle zone più critiche della Calabria.
Un territorio che comprende,
in totale, 50 comuni, e in cui lo scioglimento per infiltrazioni mafiose, è già
successo in 13 amministrazioni: Nicotera (3 volte), Ricadi, Limbadi,
Nardodipace, Briatico, Soriano, San Calogero, Parghelia, San Gregorio d’Ippona,
Fabrizia, Mongiana, Tropea, Mileto. Allora è il caso di domandarsi se ad
amministrare i comuni, invece di fare le elezioni, non sia meglio lasciare per
sempre i commissari nominati dalla prefettura. D'altronde è inevitabile che i
consigli comunali siano fatalmente destinati ad essere sciolti perché, prima o
poi, saranno “scoperte” parentele, amicizie, frequentazioni con qualche
componente di famiglie considerate mafiose e lo scioglimento diventerà sicuro. Da
qualche giorno, tre commissioni di accesso agli atti (i preliminari di un
eventuale scioglimento) stanno operando nei comuni di San Gregoria d’Ippona,
Limbadi e Briatico, il cui sindaco Andrea Niglia è anche il presidente della
Provincia. Ma come sia possibile, in paesi piccoli come quelli sopra citati, che
non ci siano parentele, amicizie e frequentazioni con componenti delle famiglie
di ‘ndrangheta? Quasi impossibile. Come è impossibile non andare ai matrimoni o
non partecipare ai funerali. Ma non è per paura. E’ molto più semplicemente per
il fatto che si appartiene ad una comunità, dove conta molto di più l’amicizia
che il certificato dei carichi pendenti. E non potrebbe essere diversamente. Comunque
c’è sempre un contesto che andrebbe considerato e valutato. Nessuno, per
esempio, ha pensato di ricordare che quattro anni fa, nel giugno del 2013, al
sindaco del comune di Nicotera (il cui consiglio comunale qualche mese fa è
stato sciolto, per la terza volta, per infiltrazioni della ‘ndrangheta) Franco Pagano,
gli era stata devastata la cucina della casa con 30 proiettili di Kalascintov. Succede
così che oltre a sciogliere i consigli comunali si fanno chiudere gli esercizi
commerciali. Gli ultimi provvedimenti in
itinere riguardano due bar di Limbadi, dove lavorano cinque persone tutte
incensurate e dove non è mai successo nulla che potesse riguardare l’ordine
pubblico, ma secondo il prefetto, che si è avvalso dei rapporti degli organi di
polizia, ci sono motivi di ordine pubblico perché sono frequentati da “persone
pregiudicate/censite penalmente”. Ma per il prefetto di Vibo, Guido Longo, è considerato
pericoloso e non dovrebbe frequentare i bar anche chi ha “violato gli obblighi
di assistenza familiare”. Mi sembra un po’ esagerato. O no? Tutti perderanno il
lavoro (oltre ai capitali investiti, naturalmente) se il provvedimento del
prefetto di Vibo Valentia che sarà impugnato davanti al Tar, non dovesse essere
accolto. Che cosa può e deve fare un barista quando si presenta un mafioso? Ammesso
che lo sappia riconoscere, che fa? Gli chiede, prima di servirlo, il
certificato antimafia? E in mancanza, si
deve rifiutare di servirgli il caffè? Se ci sono persone libere vuol dire che
lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, ritiene che possano stare libere e
quindi possano fare tutto quello che fanno le persona libere, compreso quello
di andare in un locale pubblico e bere una birra. Ma se questo è un problema di
ordine pubblico, come sostengono gli inquirenti, ci devono pensare le forze
dell’ordine, la magistratura, il ministro degli Interni, per la parte delle
loro rispettive competenze, che c’entrano i consiglieri comunali? Che possono
fare i baristi? Si tratta, come si vede, di leggi e decisioni discutibili
caratterizzate peraltro da ampia discrezionalità, normative oltre che inutili,
dannose, uno sconfinamento, mi pare, nell’arbitrio. Così si creano, invece, enormi
disagi a tutti, soprattutto a quelli che mafiosi non sono. Esattamente
l’opposto di quello che si vorrebbe ottenere. La chiusura dei bar per le
frequentazioni di soggetti della ‘ndrangheta, inoltre, mi pare sia in palese e
macroscopico contrasto con il sostegno che si dovrebbe dare ai condannati per
agevolare il loro inserimento nella vita sociale. Principio sul quale più volte
si è espressa anche la Corte Costituzionale. Semmai i sindaci, i baristi, i
commercianti, gli imprenditori sono vittime dell’inefficienza e della
incapacità dello Stato che non è in grado, al di là dei successi che pure ci
sono, di arginare efficacemente il fenomeno mafioso che, come si vede dalle
tante inchieste, è diffuso e ormai radicato in tutto il Paese, non solo al Sud.
“La responsabilità penale
è personale”, lo dice l’art. 27 della Costituzione e hanno ritenuto opportuno
ricordarlo a tutti, in questi ultimi tempi, l’ex presidente del Consiglio dei
ministri e attuale segretario nazionale del Pd, Matteo Renzi ed il ministro
Maria Elena Boschi quando i loro familiari sono stati coinvolti in inchieste
della magistratura. In Calabria e in Sicilia non è così: basta essere parente,
ma spesso basta la semplice conoscenza di un mafioso, per essere considerati a
tutti gli effetti mafiosi.
Più di una volta è stato
scoperto, e anche condannato, qualche parlamentare per essere un
fiancheggiatore o addirittura un affiliato a qualche organizzazione criminale.
E’ emblematica, a questo proposito, la dichiarazione fatta dalla senatrice 5
Stelle, Paola Taverna (riportata, virgolettata, dal Corriere della Sera del 26 settembre 2016, a pag.10 e mai smentita)
“Vengo da un quartiere difficile ma in Senato ho conosciuto i mafiosi”. Eppure
nessuno - giustamente - ha chiesto lo scioglimento per mafia del Senato. Ma una
dichiarazione del genere, invece, sarebbe stata più che sufficiente per
sciogliere immediatamente qualsiasi consiglio comunale o chiudere qualunque esercizio
pubblico specialmente se della provincia di Vibo Valentia.
Fortunato Vinci -
(Asi)
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