La lezione di Pansa, l’occupazione della Rai e la libertà di stampa
Alcune notizie di questi giorni provocano tristezza e sconcerto. Da una parte c’è la tristezza per la morte di Giampaolo Pansa, un gigante del giornalismo. E non solo perché era bravo a scrivere, come dimostrano i successi dei suoi libri e dei suoi articoli, ma perché era un giornalista coraggioso, un “rompiscatole” si definiva lui stesso. Che è arrivato a “tradire” il suo essere di sinistra per la verità, come ha fatto con “Il sangue dei vinti”, raccontando delle esecuzioni e dei crimini orrendi compiuti dai partigiani e da altri individui dopo il 25 aprile 1945, a Liberazione ormai compiuta, verso fascisti e presunti tali o antifascisti non comunisti. Meritandosi, dai bolscevichi in servizio permanete effettivo, anche da morto, l’accusa di traditore. Una medaglia, da appuntare al petto, per Pansa. Una lezione sublime che dovrebbero seguire tutti i giornalisti.
Dal giornalismo nobile di
Pansa si passa ad un’altra pagina, sconcertante e deprimente insieme. Riguarda,
come capita periodicamente, dell’occupazione, da parte dei (partiti) politici,
della Rai, in cui sono fatalmente coinvolti i giornalisti, con un gioco
dell’oca, che è una vera e propria continua, intollerabile profanazione di
quello che dovrebbe essere, in quanto servizio pubblico, il santuario dell’informazione.
Già è scandalosa la ripartizione tra i partiti della gestione e
dell’amministrazione della Rai, è incredibile e inconcepibile, addirittura umiliante
per gli stessi giornalisti, che l’occupazione avvenga per gestire anche -
meglio dire, soprattutto - l’informazione, attraverso la nomina dei direttori
delle varie testate giornalistiche e di tutto il cucuzzaro che ne deriva. Sugli
“assetti” della Rai è emblematico quanto scrive il Corriere della Sera. “Nel
settembre scorso è nato il nuovo governo giallorosso e il cambio di assetto
politico ha spinto subito alcuni esponenti della neonata maggioranza, in
particolare dentro il Pd, a invocare un “riequilibrio” ai vertici delle reti e
dei telegiornali per dare voce alle forze politiche che prima non erano
rappresentate “. Ecco, quindi, che l’amministratore delegato, Fabrizio Salini decide
di assegnare la direzione di Rai 1, al posto della prima direttrice donna
Teresa De Santis, nominata appena un anno prima, considerata filo salviniana e
protetta dal presidente sovranista Marcello Foa, a Stefano Coletta (prima a Rai
3) in quota Pd. Con Ludovico di Meo (in quota Fdi) a Raidue il centrodestra
guadagna la seconda rete senza perdere il Tg2 superleghista con il direttore
Sangiuliano. E così con altre “occupazioni”, tra infinite trattative e
polemiche. Ma, al di là dei nomi, stupisce, perché inaccettabile, il metodo. Colpisce,
ed è preoccupante, che tutto ciò avvenga nell’indifferenza generale. Che accada
senza che s’indigni almeno un po’, tanto per non dare l’impressione di essere
in sonno, l’Ordine dei Giornalisti, che pure è sempre in prima linea quando si
tratta di difendere la libertà di stampa. E’ gravissimo anche che non s’indigni,
e non protesti, perché in letargo da sempre, il vero ed unico azionista, rappresentato
da tutti i cittadini che pagano il canone e tutto il resto. Somme notevoli, giustificate
dal fatto che si tratti di un servizio pubblico. Ma un servizio pubblico
asservito ai partiti è in palese contraddizione con la libertà di stampa che
non può essere libera se è occupata dai partiti che per definizione, come è
peraltro ovvio, sono di parte. Come può svolgere il lavoro liberamente, senza
condizionamenti, solo ed esclusivamente nell’interesse dell’informazione e di
tutti i cittadini, il giornalista che è in quota x e l’altro che è in quota y ?
Vuol dire - questo almeno è quello che ho capito io - è che costoro sono,
all’interno della Rai, i punti di riferimento dei singoli partiti, per le
notizie da dare o non dare o, peggio, darle come vuole il politico di
riferimento. La conferma è dimostrata dall’interesse e dalle pressioni di
questo o quel partito di occupare, con giornalisti fidati, i posti di comando. Ad
essere di parte già ci sono, e bastano, i giornali e le televisioni dei privati
(con i soldi pubblici!) e le notizie si leggono e si ascoltano, con il marchio,
piuttosto evidente, imposto e voluto dal padrone. Per questo, proprio per
questo, sarebbe necessario che ci fosse una Rai libera dai legacci e
dall’occupazione dei partiti. Ci vorrebbe un solo manager e i giornalisti tutti
assunti con concorso, senza che debbano rispondere al politico di turno, ma
solo alla propria coscienza e all’opinione pubblica, senza che la deontologia e
le capacità professionali, che senza alcun dubbio ci sono anche adesso, siano
fatalmente zoppe, viziate e inquinate dalla politica. Mi sovviene un fatto che
mi riguarda e di cui vado orgoglioso. Una mattina di tanti anni fa in corso
Vannucci, a Perugia, incontrai un collega giornalista che, come me, scriveva su
un giornale locale. Era appena uscito da palazzo dei Priori, sede del municipio
della città, ed era distrutto, quasi in lacrime. Gli chiesi cosa fosse
successo. Aveva incontrato un noto, grezzissimo ed arrogante assessore comunale
che, con la volgarità che gli era abituale e di cui faceva sfoggio, lo aveva
aspramente redarguito, perché si era permesso di scrivere qualcosa che non
andava bene al partito; quel partito che qualche anno prima aveva sollecitato
l’assunzione del giornalista nel quotidiano. A te - mi disse - che pure scrivi
ogni giorno critiche molto più severe delle mie, non lo avrebbe mai fatto
perché tu non sei stato assunto con l’aiuto del partito. Infatti, qualche anno
dopo, quando quel giornale diventò il più diffuso dell’Umbria, mi costrinsero a
interrompere la collaborazione. Troppo “rompiscatole”. Ecco, la libertà di
stampa non esiste, non può esistere se hai un referente a cui dover sempre rendere
conto. Altrimenti il “giornalismo cane da guardia”, locuzione ricavata dalle
dichiarazioni di principio sulla libertà di stampa, a tutela della democrazia e
del pluralismo dell’informazione, diventa un gatto siamese che, sia pure contro
il suo volere, è costretto a fare le fusa tra le braccia del politico di
riferimento.
Fortunato Vinci – (Asi)
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