Abolire le Regioni, la prima indispensabile “rivoluzione” da fare subito


In questa drammatica situazione in cui ci troviamo non serve solo distribuire denaro a pioggia come sta facendo il governo, o fare l’assalto alla diligenza, come stanno facendo un po’ tutti, serve anche, direi soprattutto, ragionare, progettare e agire con serietà e estremo senso di responsabilità; accantonando, almeno per un po’, egoismi e interessi personali. Si calcola che per uscire da questo disastro, provocato dal Covid-19, ci vorranno oltre che tempi piuttosto lunghi, anche molte risorse. Poche a fondo perduto dall’Europa, molte a debito. E per un Paese come il nostro, che era in stagnazione, e con un debito già pesantissimo che a gennaio era di 2.443 miliardi di euro, con 67 miliardi di interessi, si tratta di un impegno notevole, che impone, imporrà a tutti enormi sacrifici. I soldi - è inutile, irresponsabile e ingannevole girarci intorno -  non ci sono e i nuovi pesanti debiti bisognerà prima o poi rimborsarli. E’ anche opportuno ricordare, tanto per capire qual è la situazione generale, che debiti piuttosto pesanti li portano in dote i comuni, 800 sono a rischio bancarotta e poi ci sono le voragini di Roma (12 miliardi) o Catania e le altre città metropolitane, oltre alle Province e le Regioni. Intanto le previsioni sul Pil vanno dal - 6% al - 15 %. Intanto l’occupazione, nei 36 Paesi aderenti all’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è aumentata di 0,1 punti, al 68,6 %, mentre l’Italia resta ferma al 58,6 %, dieci punti percentuali sotto la media dei Paesi industrializzati. Questo prima della pandemia, le conseguenze, nel dopo, ancora non le sappiamo. Salto altri dati dello stesso tenore, ma non posso non rilevare con una certa preoccupazione la delusione per la politica economica finora adottata dal governo con il “decreto crescita”, che non sembra sia in grado di dare - ora, ovviamente, ancora meno -  quella svolta necessaria per sostenere l’economia che si rende indispensabile per far crescere la domanda di beni e servizi e consentire la creazione di nuovi posti di lavoro. I due punti “forti” e “qualificanti” della manovra, vale a dire la quota 100 per l’anticipo delle pensioni ed il reddito di cittadinanza vanno, invece, nella direzione opposta. Perché i nuovi pensionati prenderanno meno dello stipendio (intorno a -20%) e il reddito di cittadinanza comporta un’altra, ulteriore uscita per lo Stato senza dare alcun pratico e significativo sostegno ai disoccupati; perché il problema - è necessario che ne prendano atto con realismo i 5 Stelle - non è come cercare il lavoro è, semmai, come fare per creare il lavoro, che non c’è. E i titoli di Stato, di conseguenza, rispecchiano, nelle valutazioni, la difficile situazione generale. Sono stati declassati da Fitch, una delle società di rating, con un giudizio sul debito sovrano, da Bbb a Bbb- il che vuol dire solo un gradino al di sopra del limite dei cosiddetti “junk” bond, i bond spazzatura. Lo stesso giudizio di Moody’s, altra agenzia di rating. Che fare?  Impossibile fare aumentare ulteriormente, con una patrimoniale, la pressione fiscale (sarebbe una follia) come ha proposto di fare qualcuno dei tanti sprovveduti che circolano in Parlamento e negli studi televisivi, che ormai hanno sostituito i bar di una volta, per la disinvoltura, la superficialità e l’incompetenza con cui si trattano argomenti difficili e complessi. I livelli intollerabili della pressione fiscale sono dovuti al fatto che mai nessun governo ha voluto combattere seriamente ciò che aggrava di più i conti pubblici, vale a dire l’evasione fiscale e la corruzione. Che sono due colossali pozzi senza fondo che disperdono e distruggono immense risorse pubbliche. E allora, se non si possono o non si sanno come aumentare le entrate, bisogna agire sulle spese, cominciando a tagliere quelle inutili per i cittadini, cominciando dalla cancellazione delle Regioni e dalla eleiminazione di tutto quel che resta delle Province. Proprio ora - mi potrebbe obiettare qualcuno - che alcune Regioni, Veneto e Lombardia in particolare, hanno fatto addirittura un referendum per chiedere maggiori autonomie. Sì, proprio ora, in questi mesi abbiamo visto tutti i disastri, le confusioni, le polemiche, il ginepraio di (in) competenze nella sanità, con le inchieste penali al seguito, il cui settore è, appunto, delegato alle Regioni. E’ il caso di ricordare che proprio nelle gestioni sanitarie ci sono stati scandali e inchieste giudiziarie, in Lombardia e in Umbria. Dissesti, con conseguenti piani di rientro, sempre nella gestione sanitaria, hanno interessato Lazio, Abruzzo, Liguria, Molise, Campania, Sardegna, Sicilia e Calabria. In pratica si è stati capaci di moltiplicare per venti, le disfunzioni, i costi, le burocrazie dello Stato. Pensate cosa succederebbe se fossero delegati alle Regioni, come richiesto dai referendum, altri settori e altre competenze. Ma le Regioni - immagino sia questa la prima obiezione che è possibile fare - sono previste dalla Costituzione. Certo, ma i padri costituenti l’hanno scritta nel 1947 quando andare da Palermo (o Bolzano) a Roma era un’avventura. Le comunicazioni difficili. I bisogni tanti, in un Paese che usciva, sconfitto e distrutto, dalla guerra. I padri costituenti, inoltre, pensavano di lasciare un Paese, retto e guidato, al centro come in periferia, da persone non solo oneste e capaci, ma anche con il senso dello Stato. Tutta un’altra cosa rispetto a quello che vediamo, sconcertati e sconfortati, tutti i giorni. Faccendieri e mezzecalzette, con qualche lodevole eccezione, hanno occupato tutto. “Per salvare l’Italia dalla bancarotta ci rimane una sola strada: eliminare le Regioni”. Era il titolo di un mio articolo di quasi un anno fa. Ed è, purtroppo, sempre di attualità. Ora, che la situazione è peggiorata, lo è ancor di più. Le Regioni, lo abbiamo visto in questi cinquant’anni un’infinità di volte, non servono ai cittadini, servono solo ai partiti, ai politici, per mantenere centinaia di posti di potere, per persone, nella stragrande maggioranza dei casi, incapaci e presuntuose, strapagate, molte volte, purtroppo, anche corrotte. Servono per far assumere parenti, affini e amanti, portavoce, esperti e consulenti dei politici.  La riforma non è semplicissima - lo so e me ne rendo conto - trattandosi di una riforma costituzionale, ma si tratterebbe di modifiche funzionali ed efficaci, per semplificare e organizzare meglio, e con molte meno spese, le articolazioni istituzionali e amministrative del nostro Paese. Un passo importante e significativo per ridurre la burocrazia soffocante. Ecco come potrebbe essere, riformato, l’art.114: “La Repubblica è costituita dai Comuni (minimo 15.000 abitanti) dalle Città metropolitane, dallo Stato”. Non è, come si potrebbe pensare, una riforma che va verso il centralismo, al contrario, con le città metropolitane si darebbero maggiori poteri e competenze ai sindaci che sono quelli che stanno veramente vicino ai propri concittadini. Si toglierebbero così anche tutti quegli assurdi, insopportabili, e oggi del tutto ingiustificati, privilegi alle Regioni autonome, come Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino - Alto Adige, Sicilia e Sardegna. Tutto questo enorme spreco di denaro pubblico, di cui i cittadini non hanno avuto finora nessun tipo di beneficio come, in maniera clamorosa e credo incontestabile, si è visto nelle emergenze. Adesso con quella sanitaria, nel passato recente con la (mancata) ricostruzione dell’edilizia distrutta dal terremoto in Abruzzo, Marche e Umbria. Non era di competenza delle Regioni? Forse, ma se non sono vicine alle popolazioni che si trovano in drammatiche situazioni, e non sono in grado di intervenire almeno per sollecitare l’intervento dello Stato, a cosa servono le Regioni? Ricordiamoci che tre volte (le tre volte della vergogna, come le ho definite io) i cittadini, rovinati dal terremoto, sono stati costretti ad andare a Roma per protestare per i ritardi nella ricostruzione. Che cos’altro dovranno fare (o non fare), di più e di peggio, per dimostrare la loro dannosa inutilità? Già nel 1962, Giovanni Malagodi, illuminato segretario del Pli, parlamentare e ministro, era contrario all’istituzione delle Regioni, e fece un’opposizione, con obiezioni di fondo di carattere giuridico, amministrativo e finanziario, e aggiunse, profeticamente: “Avremo una doppia burocrazia con nuove tasse e nuovi debiti che sono economicamente dannosi e socialmente inutili. Oggi (era il 1962, ndr) le quattro Regioni a statuto speciale spendono 135 miliardi (di lire) cioè il doppio di quello che spendevano cinque anni fa; e cinque anni fa spendevano tre volte tanto quello che spendevano all’inizio”. Le Regioni si fecero – ricordiamolo – non tanto e non solo per dare attuazione alla Costituzione, quanto per le pressioni del Partito Comunista che non riuscendo ad ottenere, per lo strapotere della Dc, la maggioranza nelle elezioni politiche nazionali, puntò tutto sulle Regioni. Sapendo di poter ottenere la maggioranza in alcune zone del Paese, tradizionalmente di sinistra, come Toscana, Emilia Romagna e Umbria, com’è poi avvenuto. Ma ora i tempi sono cambiati, e la crisi che coinvolge il nostro Paese non ci consente alternative. Ora non è solo ingiusto, è anche amorale chiedere sacrifici a tutti e poi dilapidare miliardi, con irresponsabile disinvoltura, per mantenere strutture burocratiche inutili e dannose, sacche di potere politico senza controlli quali sono diventate le Regioni. Non ci possiamo permettere più che a Bruxelles ci siano, attive e costosissime, 20 “ambasciate” italiane, quelle di tutte le Regioni italiane. O facciamo questa riforma o rischiamo di annegare tra i debiti, o morire strozzati dalle imposte. Noi e i nostri figli.  

Fortunato Vinci (Asi)

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