Con il “bail-in” in pericolo i risparmi del conto corrente
Bail-in,
un altro nome inglese per mimetizzare un altro “misfatto”. Questa volta si
tratta di un serio e gravissimo attacco ai risparmi dei cittadini.
Con la legge, chiamata,
appunto “bail-in”, dal 1 gennaio 2016 i risparmiatori che hanno depositato in una
banca, anche nel semplice conto corrente, i propri sudatissimi risparmi, se
l’istituto di credito dovesse trovarsi in difficoltà, al salvataggio, dopo gli
azionisti e gli obbligazionisti, dovranno provvedere anche i semplici
risparmiatori con i loro soldi, nella parte che supera i 100.000 euro,
depositati nel conto. Per tantissime ragioni, una cosa inconcepibile. Si
tratta, è vero, di un decreto attuativo di una direttiva europea, ma in Italia la
Costituzione dice ben altro e il decreto in questione è in palese, stridente
contrasto con essa. L’art. 47 recita: “La Repubblica incoraggia e tutela il
risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio
del credito”. Con questa legge il risparmio non solo non si tutela, si mette
addirittura a repentaglio. Lo Stato, che tante volte è intervenuto a salvare le
banche in default, ora si è
vigliaccamente defilato, lasciando la pesante ed onerosa incombenza agli ignari,
incolpevoli correntisti. D’ora in poi tutti coloro che hanno un risparmio
superiore a 100.000 euro, non devono più aprire il conto corrente in una banca
qualsiasi, magari sotto casa o di cui conoscono il direttore e gli impiegati,
devono individuare l’istituto di credito che è gestito bene, che ha un management capace e, soprattutto,
onesto. Ora al risparmiatore s’impone il dovere - così stabilisce la normativa - alla
consapevolezza: deve misurare, verificare, comparare. E come, se non ha le
informazioni e la preparazione per farlo? Assurdo. I correntisti, al di là
delle indispensabili conoscenze approfondite e specifiche che sarebbero
necessarie, e che pochi veramente hanno, non partecipano alla gestione della
banca, non intervengono alle assemblee, non nominano gli amministratori, non
approvano i bilanci, non sanno nulla di quello che avviene, eppure, se la banca
è in crisi, saranno chiamati a salvare l’istituto che affonda, con i loro
risparmi, accomunati agli azionisti e agli obbligazionisti. Con tutti i
“marioli”, (chiamiamoli così, ma si tratta di veri e propri grossi delinquenti)
che ci sono in circolazione, più che un’impresa difficile appare operazione pressoché
disperata, anzi impossibile, considerando che scandali e fallimenti, da noi, in
Italia, sono all’ordine del giorno. Eppure
le banche hanno dei controllori interni ed esterni e appositi organi di
vigilanza. Dal collegio sindacale alle società di certificazione dei bilanci,
dalla Banca d’Italia alla Bce, fino alla Consob, per gli istituti quotati in
Borsa. Però capita spesso, per non dire sempre, che a tutti questi controllori
sfugga sempre il malaffare. Così oltre ai fallimenti che sappiamo, e dove è già
intervenuta la magistratura, il sistema bancario italiano, con già 15 istituti
in grosse difficoltà, ha crediti in sofferenza (leggi: soldi quasi sicuramente
persi, il che vuol dire soldi prestati a clienti che non davano garanzie e ora non
sono in grado di restituirli) per un ammontare di 200 miliardi di euro e una
crescita annua del 14 %. E ci si chiede come sia possibile, visto che quando
una persona (normale) va in banca a chiedere un qualsiasi finanziamento, anche
di entità modesta, l’impiegato chiede e pretende garanzie concrete, e se queste
non ci sono, sono insufficienti o non convincono, il prestito viene negato
senza indugi e tentennamenti. E allora perché, con i controlli che ho detto e
la prudenza, peraltro opportuna e necessaria, appena accennata, ci sono perdite
così ingenti? Perché i (piccoli) finanziamenti vengono negati alla gente comune
ma i grandi finanziamenti, a volte veramente senza limiti, vengono erogati, con
straordinaria disinvoltura e con evidenti complicità e connivenze, non solo a
società che perdono e sono sull’orlo della bancarotta, anche a quelle, di fatto,
già fallite. “Banchieri” (le virgolette sono d’obbligo) senza scrupoli sono
attualmente indagati non solo per bancarotta ma anche per distrazione di fondi,
uso della banca a fini familiari, perfino favori a soggetti in odore di mafia. E’
significativo, e nello stesso tempo sconcertante, leggere giudizi, come quello di
un ispettore della Banca d’Italia “appare stupefacente come la banca si sia
indotta a concedere un finanziamento così rilevante a una società estera senza
nemmeno accertarsi del suo stato patrimoniale finanziario ed economico”. Da noi
è normale che avvengono cose di questo genere, e le inchieste giudiziarie lo
hanno ampiamente dimostrato. Tutto ciò perché a gestire i soldi dei
risparmiatori, vengono spesso nominati, anzi imposti, amministratori dal
passato (e dal presente) imbarazzante, che tessono intrecci inquietanti con
politici e faccendieri. E meno male che, finora, a questo sistema in stato
comatoso (al di là delle intollerabili dichiarazioni di Renzi e Padoan), abbia
dato sollievo taumaturgico Mario Draghi, capo della Banca Centrale Europea, con
l’immissione di liquidità a getto (quasi) continuo, grazie al quantitative easing, il programma di
acquisto di titoli con 80 miliardi di euro al mese.
Che con il “bail-in” a rispondere di queste
operazioni spregiudicate, di amministratori disonesti, siano chiamati i
risparmiatori con i soldi del conto corrente, mi pare che sia incostituzionale
e ingiusto.
E la spiegazione che
bisogna recepire una direttiva europea ripropone i limiti (o se preferite: i
problemi) dell’Unione Europea che vuole imporre a tutti le stesse regole quando
si tratta di 27 Paesi tutti diversi uno dall’altro. Da noi c’è la Costituzione
che impone precise tutele e le cose non sono uguali dappertutto. Negli altri Stati
gli amministratori delle banche sono scelti con criteri diversi e tanti
scandali non avvengono; e quando succede i responsabili che dilapidano
patrimoni consistenti vanno in carcere (e non in villa) e sono costretti a
restituire fino all’ultimo centesimo. Da noi non solo non ridanno nulla di
quello che hanno maldestramente sperperato, ricevono liquidazioni fiabesche e,
a volte, come premio, guadagnano pure un seggio in Parlamento. E quando, nella
peggiore delle ipotesi, qualche delinquente s’imbatte in un procuratore
determinato e testardo, c’è sempre pronta la canea arrembante e furibonda che
lo difende e si scaglia contro il magistrato complottista. E, comunque, quando
serviva, c’era sempre, come estrema ratio,
la geniale e miracolosa clausola di salvataggio: la prescrizione. E ora che non
c’è più (dal 2020) ci sono lotte furibonde di alcuni politici per cercare di rimetterla,
perché questo Stato deve tutelare prima di tutto i delinquenti. Infatti Alfonso Bonafede, il
ministro della Giustizia che più di altri si è battuto per la riforma, è sempre
sotto scacco. Qualsiasi cosa faccia.
Fortunato Vinci – (Asi)
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