Draghi in politica, come Messi con la squadra parrocchiale


Chi ha la pazienza di leggermi, sa che, da molti anni ormai, chiamo i politici, che sfilano imperterriti sul palcoscenico italiano ed europeo, mezzecalzette. Tanto che un mio amico, docente universitario, nonché affezionato lettore, che spesso commenta con dotte argomentazioni i miei articoli, una volta mi disse, ma tu non hai paura che prima o poi qualche politico ti denunci per diffamazione. No, risposi senza esitazione, perché spero di avere la fortuna di trovare un Pm intelligente e capace, il quale, dopo aver esaminato l’operato del politico e le mie critiche, arrivi alla conclusione che, tutto sommato, guardando quello che è stato capace di combinare il politico denunziante, ci siano i presupposti per derubricare i miei articoli da diffamazione a complimento, e chiedere, di conseguenza, l’immediata archiviazione della denuncia. Fatta questa doverosa premessa, ho visto che a Mario Draghi, l’ex presidente della Bce, che si sta godendo, novello Cincinnato, la meritata pensione nella sua villa di Città della Pieve, viene chiesto di scendere in campo per guidare, in questa situazione disastrosa e drammatica, il nostro Paese. In verità, a tornare sulla scena, è stato lui stesso, con un articolo interessante sul Financial Times, con il quale ha chiesto che l’Europa metta delle immense risorse per risollevare le sorti della nostra economia, già in rianimazione senza la pandemia e che sarà allo stremo quando sarà finita questa devastante esperienza. Quando era in Bce nonostante il quantitative easing e la famosa frase, detta durante la crisi del 2012, whatever it takes, cioè fare qualunque cosa serva, ho avuto modo di leggere delle critiche per quello che faceva; capite, critiche. Perché succedeva anche questo, che qualche mezzacalzetta - poveretto - si permetteva pure di criticarlo. Nella sua profonda ignoranza non riusciva a capire che l’Italia stava a galla, è stata a galla per tanti anni, perché sulla scialuppa, a remare, ci stava soprattutto lui. Qualcuno, duro di comprendonio, che le cose alla Bce siano notevolmente cambiate, forse, lo ha capito solo dopo il recente intervento, sciagurato, di Christine Lagarde, nuovo presidente della Bce. Draghi poteva fare quello che faceva, anche se qualche capo di governo d’Europa non era affatto entusiasta dei miliardi di euro elargiti dalla Bce ai Paesi in difficoltà, perché si tratta di una persona preparata e autorevole. Stimata (forse anche temuta) un po’ da tutti, in Europa e nel mondo. Requisiti base che mancano alle nostre mezzecalzette. Quando dicono, cosa peraltro del tutto vera, che l’Europa non tiene mai nella dovuta considerazione l’Italia, bisognerebbe avere anche il coraggio di aggiungere che a rappresentarci, a Strasburgo e a Bruxelles, ci mandiamo sempre impacciate comparse. Questa è la cruda verità. Ora si chiede l’intervento di Mario Draghi. Ma quelle scene vergognose che la tv trasmette dai palazzi nobili della politica, Montecitorio e Palazzo Madama, che non si vedono nemmeno nelle curve degli stadi, tra i tifosi più violenti e maleducati, scoraggiano e sconsigliano, non solo Draghi, qualsiasi persona colta e di buon senso ad avere rapporti con questa politica. Com’è possibile sperare che Mario Draghi possa entrare in un caravanserraglio in cui si fanno polemiche e risse anche in una situazione non difficile, disperata, come quella che stiamo attraversando? Ve l’immaginate Mario Draghi, con il suo aplomb, abituato a salotti vellutati, a confronti sobri, a parlare con persone che non parlano la sua lingua, politici disseminati in una maggioranza che discute e litiga su tutto, senza sapere quasi niente, e un’opposizione, culturalmente messa anche peggio, che è contraria su tutto, a prescindere. E’ come se Lionel Messi andasse a giocare con la squadra della parrocchia, dove nessuno sa stoppare la palla. Meglio, molto meglio la villa di Città della Pieve. In attesa di occasioni migliori. Purtroppo, per noi.                              

Fortunato Vinci

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