L’equilibrio di un partito di centro che manca al Paese

Ricordo ancora benissimo gli accesi confronti che ebbi con alcuni autorevoli esponenti della Margherita ai tempi in cui stava per avvenire quello che sarà ricordato come uno delle più sciagurate e fallimentari fusioni politiche degli ultimi anni, quello tra i Ds e la Margherita. Non c’era nulla, proprio nulla, da qualsiasi punto di vista, perché i due partiti si unissero. Scrissi allora molti articoli, perché era evidente che lo squalo di sinistra, Ds, forte di un notevole (almeno allora) peso elettorale facesse un sol boccone degli ex democristiani. Ma non erano solo le forze politiche in campo a sconsigliare la fusione e la nascita di un nuovo soggetto, c’erano aspetti molto più importanti, e cioè i valori, quelli cristiani, la tradizione culturale democratica e liberale. Beni che non possono essere traghettati, per una infinità di ragioni, in un corpo che, seppure con un pudico quanto inutile ex davanti, rimaneva sempre e comunque comunista.  Un innesto che non poteva avere successo. Ancor oggi mi chiedo che cosa abbia potuto, nel 2007, obnubilare così tanto le menti dei politici del tempo, Francesco Rutelli in primis, per andare verso la dissoluzione e in pratica alla cancellazione della Margherita.  E il nuovo partito che è nato, il Pd, è stato abbandonato quasi subito, già nel 2009, dallo stesso Rutelli, con dichiarazioni disarmanti e stupefacenti se fatte da uno dei fondatori: “Il Pd non è mai nato. Nonostante la passione e la disponibilità di tanti cittadini, non è il nuovo partito per cui abbiamo sciolto la Margherita e i Ds. Non ho nulla contro il partito democratico di sinistra, ma non può essere il mio partito. Non c’è un partito nuovo, ma il ceppo del Pds con molti indipendenti di centrosinistra”. Come volevasi dimostrare. Pci, Pds, Ds, cambio solo del nome, ma il Dna rimane lo stesso: bolscevico, come ammette lo stesso Rutelli. Un errore politico gravissimo. Nella Margherita non c’erano statisti, ma nemmeno le mezzecalzette che hanno portato in dote i Ds, e c’era, cosa ancor più importante gran parte del patrimonio della Democrazia Cristiana che governato mezzo secolo perché rappresentava il popolo prevalentemente cattolico che vuole lavorare, pagare tributi equi e vivere una vita tranquilla, in libertà. Questo era, ed è anche quello che è ancor oggi è il programma, il manifesto, di una semplicità disarmante, del ceto medio e della gente comune che poi è la stragrande maggioranza degli italiani, che ora sono smarriti e confusi senza un partito in grado di rappresentarli. La bocciatura e la sconfitta del Pd e il successo straordinario del Movimento 5 Stelle nelle ultime elezioni politiche del 2018, con oltre il 32%, non è altro che il voto dello smarrimento e della disperazione. Proviamo con questi. Senza arte né parte. Non possono fare peggio. E’ stato questo il preoccupante e allarmante messaggio di gran parte degli italiani. Non è stato molto diverso, più profondo e pensoso, il ragionamento fatto dai simpatizzanti di destra che hanno scelto Matteo Salvini e la sua Lega dando loro il 17% dei voti. Come possono e sanno gestire il Paese lo si è visto, prima con il governo gialloverde e ora con quello giallorosso. All’insegna della massima improvvisazione. Certo, l’improvviso e devastante arrivo del Covid-19, ha aggravato ancor dipiù la situazione già pesante, ma si navigava a vista anche prima.  Ora la situazione, dal punto di vista politico ed economico, è ancor più difficile, per non dire drammatica. Sapranno tirarci fuori ? Speriamo, naturalmente. Ma c’è da dire che molti ormai nemmeno vanno più a votare. E questo - ignorato da tutti - è di una gravità inaudita, perché è il segno di una democrazia zoppa, un vulnus severo e allarmante. Al di là della crisi di governo che i (presunti) politologi prevedono (e si augurano) ormai ogni giorno da quando è nato il governo 5Stelle-Pd-Iv-Leu, questa maggioranza, per tanti motivi, è destinata a durare fino al termine della legislatura. Il voto anticipato, d’altronde, credo che sia solo un passaggio costoso (in questo momento addirittura costosissimo) e del tutto inutile, perché dalle urne è assai difficile che possa uscire una maggioranza, e allora si dovrà tornare, comunque, ad una coalizione di partiti, magari anche peggiore di quella attuale. Un’alternativa non c’è mancando un vero partito moderato e cattolico di centro. Guidato – e qui sta il problema principale – da un uomo con profondo senso dello Stato e, nel contempo, con un forte tasso di disinteresse personale.  Non abbiamo, ci mancano i De Gasperi e i La Malfa. Ci ha provato Silvio Berlusconi, ma in tutte quegli anni in cui ha governato ha dimostrato di non avere nessuno dei requisiti per diventare uomo di Stato ed ora è giunto al crepuscolo, politico prima che ancora anagrafico. Altrettanto disastrosa, deludente e fallimentare l’esperienza di Matteo Renzi, che ora dopo aver abbandonato il Pd, di cui è stato anche segretario, un attimo dopo aver fatto nascere il governo Conte 2, ha fondato Italia viva. Ma l’operazione è destinata a non avere successo perché Renzi, come stanno a dimostrare i sondaggi, naviga intorno ad uno stentato 3%, dopo aver dimostrato di non avere la stoffa, pur avendo avuto tante occasioni, ha saputo far collezione di bluff e fallimenti. Un modesto faccendiere e un pessimo politico. Anche il dirigente d’azienda ed ex ministro, Carlo Calenda ha fondato un partito: “Azione”, il partito “di chi fatica, di chi lavora e di chi studia”. Una presentazione troppo scontata e banale per suscitare entusiasmi. Anche lui, per i sondaggisti, è intorno a 2%. Un’idea ce l’ha avuto anche Giovanni Toti, il presidente della Liguria che, dopo aver lasciato Forza Italia, ha pensato a  “Cambiamo”, una creatura politica praticamente già morta in fasce, come peraltro gli altri due. Insomma ci sarebbe bisogno di uno statista, affidabile, carismatico e onesto che manca o forse c’è già, solo, che sta provando l’armatura del gladiatore per scendere nell’agone politico italiano.

 Fortunato Vinci

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