Sulle strade, trasformate in circuiti di Formula 1, muoiono, ogni anno, migliaia di persone nell'indifferenza generale

 

In chiesa, a Roma, sabato scorso, per i funerali di Francesco Valdiserri, il diciottenne figlio di due giornalisti del Corriere della Sera c’era la presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, c’erano ministri ed altri esponenti politici, e c’erano, soprattutto, distrutti dal dolore, i familiari del povero ragazzo ucciso mentre tornava a casa da un’auto che aveva invaso il marciapiede, dove camminava Francesco in compagnia di un amico. Una morte assurda e inconcepibile, con tutto l’armamentario linguistico che si usa in queste circostanze e poi, però, calerà, è già calato, il silenzio, come al solito. L’accorato appello che ha fatto Luca, il papà di Francesco, ai giovani di non mettersi alla guida dopo aver bevuto troppo, è il messaggio disperato di un padre, che dovrebbe essere ascoltato da tutti, anche dai governanti, perché prendano decisioni al fine di evitare questi episodi e queste sciagure. Come questa, che ha gettato nella disperazione e nello sconforto due famiglie e due giovani come Francesco, che è morto, e quella sventurata ragazza che lo ha ucciso e che ora è “devastata dal senso di colpa”. È necessario che tutti si rendano conto che c’è un’emergenza grave, forse più grave di quelle che si raccontano ogni giorno ed è quella degli omicidi stradali. Nel 2021 nel nostro Paese i morti sono stati 2.875 mentre 204.728 i feriti. Una strage di enormi dimensioni che non è accettabile. In Europa siamo al 13esimo posto. L’Unione Europea, due anni fa, si è data un ambizioso obiettivo: raggiungere, nel 2050, le “zero vittime per incidenti stradali”. Necessarie, opportune e apprezzabili le buone intenzioni, difficile, per non dire impossibile, realizzarle. In Italia, nel 2016, sono stati introdotti due nuovi reati: l’omicidio stradale e le lesioni personali provocate da incidenti stradali. Non basta, non può bastare. Questo è il poi, quel che conta, e interessa, è prevenire gli incidenti e bisognerebbe farlo subito e a tutti i costi, almeno fare in modo di limitarli nel numero e nella frequenza. Perché non possono bastare nemmeno quei frequentissimi cartelli, irritanti perché si sa che sono inutili, con su scritto “controllo elettronico della velocità”, quando tutti sanno che non c’è nessuno che controlla. Altrimenti - è evidente -  si sarebbe già azzerato il debito pubblico. Non molto tempo fa ho fatto un esperimento: partendo da Perugia per andare a Limbadi (Vibo Valentia), percorrendo superstrade, autostrade, strade provinciali e comunali per 800 chilometri, ho sempre tenuto, volutamente, la velocità della mia automobile leggermente superiore (intorno al 20 %) a quella prescritta dal Codice e indicata dai cartelli stradali. Ebbene - e penso di non sorprendere nessuno - sono stato sorpassato da tutti, dico tutti, a prescindere dalla cilindrata, dalle (frequentissime) pessime condizioni dell’asfalto, dalle condizioni dell’automobile e dall’età dell’automobilista, che ormai è più giusto chiamare pilota. Le strade italiane, d’altronde, sono diventate tanti circuiti di Formula 1. Io, quel giorno, ho superato solo qualche tir solo perché si era in salita. È anche inutile aggiungere che non ho visto nemmeno una vettura di polizia o carabinieri. Si può continuare così?  Intanto, nella speranza che i nuovi governanti pensino a qualcosa di più efficace, potrebbe essere opportuno mandare sulle strade polizia e carabinieri e anche la polizia locale, non per fare necessariamente le multe, anche quelle, se servono, naturalmente, ma la loro presenza può essere un deterrente per i piloti, se sanno che potrebbero incontrare qualche pattuglia delle forze dell’ordine. Qualche vita, forse, si potrebbe salvare. Aspettando il “miracolo” del 2050, naturalmente. 

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

  

 

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