I ragionamenti e le pretese degli strateghi da salotto sulla Flotilla: perché la difesa chiesta solo all'Italia e non agli altri 43 stati?

 

Non so se capita anche a voi quello che, in questi giorni, sta capitando a me, cioè quello di non capire - certo, per colpa mia, naturalmente - i ragionamenti che si fanno, e si leggono sui giornali o si ascoltano in tv, da parte degli strateghi da salotto di casa nostra. A proposito della missione della Global Sumud Flotilla con un gruppo di attivisti, tra cui qualche parlamentare italiano, per andare a Gaza e portare aiuti e solidarietà ai palestinesi su cui si è scagliata la violenta reazione degli israeliani dopo che Hamas, il 7 ottobre del 2023, con un’incursione a sorpresa ha ucciso 1200 israeliani e 250 li ha presi in ostaggio. Missione nobile di persone disarmate provenienti da ben 44 stati diversi, ma adesso che le imbarcazioni vorrebbero forzare il blocco navale davanti a Gaza, scenario di guerra, si chiede aiuto al governo italiano. E perché proprio all’Italia e non agli altri 43 stati? Visto che lì, sul veliero, e sulle altre barche, ci sono attivisti di 44 stati? Non solo non ci ha pensato nessuno, ma qualche stato ha addirittura dato l’incarico, a noi italiani, a difendere gli attivisti. Un’incombenza assai complicata e rischiosa. Comunque, si sono mobilitati tutte le più alte cariche dello Stato, dal presidente Mattarella alla presidente Meloni, dal ministro degli Esteri Tajani a quello della Difesa Crosetto che ha detto che “se si forza il blocco, rischi elevatissimi e non gestibili” pur avendo mandato due navi della Marina Militare a seguire le barche, ma senza nessuna garanzia di sicurezza, nel senso che non potranno intervenire, per non provocare una crisi diplomatica-militare. Eppure, nonostante il Patriarcato di Gerusalemme si è detto disponibile a farsi carico della consegna degli aiuti che gli attivisti vogliono consegnare alla popolazione palestinese, e i premurosi consigli di Mattarella, la carovana navale sta procedendo, decisa, verso Gaza, con l’intenzione di forzare eventuali ostacoli che dovessero trovare sulla rotta verso la Palestina. Il rischio, come si capisce, è alto, perché nessuno, in questo momento è in grado di escludere, tra l’altro, che, tra gli attivisti, ci sia pure qualche esponente di Hamas. D’altronde proseguire significa chiaramente sfidare Israele e affermare l’illegittimità del blocco navale imposto a Gaza. È vero che questo blocco è un abuso ed è illegittimo, ma questo conflitto è stato provocato dalle barbarie di Hamas ed è poi degenerato, come, peraltro, avviene quasi sempre nelle guerre. Ma l’obiettivo principale non può essere rappresentato solo dai corridoi umanitari, dovrebbe essere quello di arrivare, prima possibile, ad una pace, con la convivenza di due stati con due popoli. Ma la pace può arrivare se i palestinesi rimangono guidati dai terroristi di Hamas che dicono, pure apertamente, che vogliono l’annientamento di Israele? Chi vuole veramente la pace dovrebbe lavorare, politicamente, su questa situazione complessa, delicata e difficile. Non giocare, come fanno gli strateghi in tv, alla battaglia navale, dicendo che in acque internazionali la Flotilla e le altre imbarcazioni non possono essere attaccati, e che se qualcuno lo facesse le navi militari italiane dovrebbero intervenire per difendere i cittadini italiani che sono a bordo. Ma può l’Italia fare la guerra ad un altro paese, peraltro amico e alleato, perché un gruppo di attivisti vuole fare politica con la scusa di portare la solidarietà? In questa vicenda c’è pure qualcuno che aggiunge “probabilmente, tra gli attivisti che si sono imbarcati, c’è chi non sa neppure dell’esistenza di Giorgia Meloni”. Appunto, a maggior ragione: un motivo in più per non intervenire, evitando di creare problemi internazionali, diplomatici e militari, dalle conseguenze imprevedibili.   

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

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