I racconti, l'"affido" di Michele Emiliano e la presenza ingombrante della mafia

 

Ha provocato enorme sconcerto la dichiarazione del presidente della Puglia, Michele Emiliano che in pubblico, dal palco, ha confessato che quando era sindaco di Bari, è andato a casa di Lina, sorella del boss Antonio Capriati, insieme con Antonio Decaro, al tempo assessore della sua giunta, per intercedere sul fratello al fine di consentire una navigazione tranquilla all’Amministrazione Comunale, guidata, appunto, da Emiliano. “Questo ingegnere è assessore mio - ha ricordato Emiliano di aver detto alla donna - e deve lavorare, perché c’è il pericolo che qui i bambini (dovevano mettere un divieto di transito, ndr) possono essere investiti dalle macchine. Quindi, se ha bisogno di assistenza, te lo affido”.  Non c’è alcun dubbio che affidare alla sorella del boss mafioso l’assessore comunale non è prassi frequente e normale, ancor di più se a farlo è un sindaco, pure magistrato. Ma Michele Emiliano ha spiegato, cercando in qualche modo di arginare la tempesta che si è scatenata, che proprio questa sua particolare posizione di sindaco e magistrato lo ha indotto a fare questo passo. “Andai di persona dalla sorella incensurata del boss Antonio Capriati, che avevo arrestato e fatto rinviare a giudizio e poi condannare per omicidio, per farle capire che le cose erano cambiate, quegli atteggiamenti non erano più tollerati. Questa la mia condotta, che ripeterei”. Nel racconto c’è, in verità, qualche inciampo logico (oltre al fatto che poi Antonio Decaro ha detto di non ricordare l’episodio e Lina ha dichiarato che a casa sua non ha visto nessuno) perché c’è notevole differenza tra l’affido e la fine della tolleranza delle prepotenze mafiose. Ma dalla condotta di Michele Emiliano, si dovrebbe, al di là dell’episodio specifico, prendere lo spunto per analizzare e approfondire qual è l’atteggiamento che possono, devono, o sono costretti a tenere, gli amministratori dei vari enti, dalla Sicilia alla Campania, dalla Calabria alla Puglia a tutta Italia, dove c’è, strapotente, un governo ben organizzato e parallelo a quello dello Stato, rappresentato dai clan mafiosi. Non sempre combattuti, con la necessaria efficacia, da parte dello Stato. E, allora, il sindaco, o il presidente di qualsiasi altro ente, per sopravvivere e amministrare, deve ricorrere al compromesso con disarmante pragmatismo, cioè arrivare, a secondo dei contesti, ad una terribile, insidiosa accettazione della realtà, così com’è, scandalosa e sconcertante, e trovare il modo di convivere, arrivando a patti (più o meno scellerati) con la mafia. Non si ha il coraggio di ammetterlo e di denunciarlo, ma è così. Non a caso, dal 1991 a 2023, sono stati sciolti, da Nord a Sud, per infiltrazioni mafiose, 379 consigli comunali e 7 aziende ospedaliere. Nonostante che magistrati, forze dell’ordine, qualche giornalista e qualche politico, con coraggio, rischiano la vita per arginare il fenomeno.

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia   

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