La politica questuante che va avanti solo con i soldi degli altri
A
Milano, come si sa, il 3 e 4 ottobre ci saranno le elezioni per il rinnovo del
sindaco e del consiglio comunale, così come avverrà in altri 1.348 Comuni. Per il centrodestra è candidato, su
indicazione di Giorgia Meloni, leader di FdI, Luca Bernardo. Fin qui niente di
strano se si escludono le singolari esternazioni di Vittorio Feltri, il
direttore editoriale di Libero, anche
lui candidato, da indipendente, a Milano, pure capolista di Fratelli d’Italia, che
non è contento della coalizione che sostiene, o dovrebbe sostenere, pure lui, e
la giudica addirittura, con charme raffinato, “coalizione del c…” e considera
la “partita già persa”, non contento, giudica, prima ancora che lo facciano gli
elettori, “Bernardo non all’altezza”. Sembra il Bagaglino. Dal canto suo, il Bernardo di cui sopra, e di
cui stiamo parlando, nei giorni scorsi, ha addirittura minacciato di dimettersi.
Il perché lo spiega lui stesso in un indignato messaggio che manda ai
coordinatori locali della coalizione. “Non può essere che sia io a pagare tutta
la campagna elettorale. È sabato e ad oggi non è arrivato nulla in termini di
sostegno di fundraising da parte
vostra, se entro lunedì pomeriggio (domani, ndr) non ci sarà nulla, martedì, ore 10, vi aspetto alla
conferenza stampa per dire che mi ritiro dalla campagna elettorale. Così non si
può andare avanti”. Poi, però, in parte, ha ridimensionato l’ultimatum. Intanto,
si è saputo che la somma concordata si aggira sui 50 mila euro a partito e i
partiti sono cinque. Al Corriere della
Sera, Stefano Bolognini, commissario della Lega a Milano, uno dei
destinatari del messaggio di Bernardo, nonché assessore regionale, ha detto: “con
una cifra tra i 100 e i 200 mila euro penso si riesca a fare una buona campagna
elettorale”. Da qui scaturiscono alcune considerazioni. Il primo dato è
scoraggiante ed è che per avere qualche chance per vincere a Milano, o in un’altra
grande città, bisogna avere, disponibili, intorno ai 200 mila euro e siccome
nessuno è così pazzo da mettere una somma così elevata attingendo ai propri
risparmi, ammesso che li abbia, vuol dire che ci deve essere qualcuno che è in
condizione di poterlo fare al posto del candidato. Ecco, allora, i partiti, che
lo fanno, ma con denaro pubblico, rendendo, però, il candidato legato al
partito o ai partiti che lo hanno sostenuto finanziariamente e condizionandone pesantemente
la futura attività istituzionale. Questo significa, altresì, che senza i
partiti finanziatori nessuno può partecipare con la speranza di vincere. Se,
invece, le fonti di finanziamento sono private la cosa è più preoccupante
perché i privati che finanziano lo fanno solo per un tornaconto e questo vuol
dire, anche in questo caso, condizionare, già dalla campagna elettorale, la
futura attività istituzione. Per consentire un adeguato equilibrio nelle sfide istituzionali
ci dovrebbe essere un budget, molto contenuto, uguale per tutti i candidati,
finanziando con denaro pubblico solo le spese giustificate, nonché adeguatamente
documentate e controllate. In una gara in cui uno può correre con una Ferrari e
uno con una cinquecento è una corsa viziata, in cui manca, se si tratta di una
competizione politica, dell’ideale etico della libertà e dell’eguaglianza.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa
Italia
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