Scuola, il quotidiano, angoscioso, dilemma dei genitori
Da
Nord a Sud, passando per il Centro, c’è, in Italia, un po’ dappertutto qualche
focolaio, non solo di contagio con il Covid-19, anche di proteste pro e contro
l’apertura delle scuole. Ci sono le colorite lagnanze degli studenti che
vogliono la riapertura delle scuole, decisamente contro la Dad, la didattica a
distanza, ed hanno ragione. Richiamano il loro sacrosanto diritto
all’istruzione, sancito dalla Costituzione, con loro il ministro
dell’Istruzione, Lucia Azzolina e ora anche il Cts. La vogliono aperta, però,
intendono precisarlo, “in sicurezza”, e non è affatto un dettaglio e una cosa
semplice. Poi ci sono quelli che,
invece, pensano che sia necessario chiudere le scuole per evitare occasioni di
contagio, dentro e, soprattutto, fuori degli edifici scolastici, con loro ci
sono alcuni presidenti di Regione, il ministro della Salute, Roberto Speranza e
l’Istituto superiore di Sanità. Anche
loro hanno ragione. In mezzo milioni di cittadini che non sanno cosa
bisognerebbe fare e anche loro sono giustificati nella loro comprensibile
incertezza. È questa la drammatica situazione attuale che offre lo spunto a infinite
polemiche e a dibattiti, più o meno sensati e responsabili, sui giornali e in
tv. Una cosa, però, è il confronto televisivo, spensierato, superficiale, tra
ovvietà e banalità disarmanti, senza rischi e sulla pelle degli altri, una cosa,
del tutto diversa, è il dilemma, angoscioso, che si presenta ogni mattina ai
genitori che devono comunque prendere una decisione. Devo o no mandare il
figlio a scuola? Una delle poche cose su cui tutti sono d’accordo è che il
rischio zero non esiste, a scuola come in qualsiasi altro posto, e nelle scuole
aperte, ci sono classi in quarantena per alcuni alunni o docenti positivi. Un
dato preoccupante arriva dalla Regione Lazio: nelle scuole superiori, tra il 14
settembre ed il 3 gennaio, ci sono stati 22.201 positivi e 8.174 tra i 14 e i
18 anni. Non è detto che l’infezione l’abbiano contratta a scuola,
naturalmente, ma è andata cosi. Si capisce, dunque, che qualsiasi scelta
nasconde, e comporta, rischi e conseguenze di notevoli dimensioni. Ogni errore
può essere fatale. Ma cosa bisogna fare per non commettere errori? No lo sa
nessuno, però lasciare tutti nell’incertezza infinita non è, nemmeno questo, più
possibile. Mi pare che una delle decisioni più insensate sia stata, però, quella,
fatta in più di una Regione, di rivolgersi alla magistratura. Che c’entra il
Tar? I giudici valutano le carte, i provvedimenti sulle certezze normative, qui
si tratta di decisioni prese nell’incertezza assoluta della diffusione dell’infezione,
che cambia ogni giorno con i contagi, e sulle precauzioni dettate dalla scienza
e dal buon senso; e che non trovano, non possono trovare, riscontro, nelle
solite formali e normali procedure amministrative. Ho letto su qualche giornale
quello che ha scritto, nella sentenza, il Tar della Lombardia, in merito
all’ordinanza della Regione sulla chiusura delle scuole. Il presidente Attilio
Fontana motivava il provvedimento con il rischio di assembramento, possibile
occasione di contagio. Il Tar ha risposto che l’assembramento non c’è nelle
scuole e dunque si possono riaprire. Posta così la questione, hanno ragione i
giudici, ma l’ordinanza non dice, e forse non poteva dire, che non ci vuole per
forza l’assembramento per avere il contagio, che ci può essere ovunque, sempre,
prendendo la penna, la matita, il quaderno di un compagno positivo, mangiando
la merenda, toccando una maniglia e poi mettendosi involontariamente le mani in
bocca, andando al bagno; le occasioni, a scuola, come peraltro dappertutto, sono
infinite. Come si fanno ad elencare tutte le potenziali occasioni di contagio,
come pretende il Tar, in un’ordinanza regionale che, immagino, sia ispirata
dalle precauzioni suggerite dall’Oms e l’Iss? Il dilemma non è se gli studenti
abbiano o meno diritto ad andare a scuola. Certo che hanno diritto. È inutile
ripeterlo, richiamare la Costituzione, rivolgersi ai giudici amministrativi. Il
quesito è un altro: possono andare in sicurezza, come chiedono? I ragazzi, andando a scuola, non solo
all’interno dell’edificio scolastico, ma anche sui mezzi di trasporto pubblici,
lungo il tragitto, corrono il rischio di infettarsi, loro per primi, e poi, a
casa, i genitori e i nonni, se sono ancora vivi. Si può garantire la sicurezza?
E se non si può garantire in assoluto, vale la pena rischiare, sì o no? La
questione è solo questa ed è estremamente complessa. Va bene, e può aiutare molto, il referente
Covid che c’è ormai in tutte le scuole. Se, però, un genitore manda il figlio,
febbricitante, a scuola, è un irresponsabile e commette anche un reato
piuttosto grave, e il ragazzo, che sfugge a qualsiasi controllo, rischia di
infettare i compagni e tutto il personale scolastico. Questo atteggiamento, imprudente
e deplorevole, fa saltare la rete di protezione che si sta cercando di
collocare per arginare il contagio nelle scuole. Un’altra iniziativa certamente
utile è stata quella presa dalla Regione Umbria, che, con l’obiettivo di
riprendere l’attività didattica delle scuole superiori in sicurezza, ha
approvato un accordo con le farmacie per effettuare test diagnostici, rapidi e
gratuiti, per la ricerca degli anticorpi anti Sars-CoV2, una volta al mese, a tutti
gli studenti delle scuole superiori e al personale docente e non docente. Anche
questa azione interessante, lasciata al senso di responsabilità dei singoli, rischia,
però, di essere vanificata dalla negligenza e dall’incoscienza dei tanti che,
ancora, ignorano prudenza e prescrizioni.
Fortunato Vinci
–www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia
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