Lo sconvolgente "diario di bordo" di Palamara, lo spregiudicato nocchiero che ha navigato vent'anni tra le correnti della magistratura
Immagino
che tra i lettori ci sia qualcuno che abbia avuto tra le mani, almeno una
volta, una sentenza e, conoscendo i fatti e le carte, sia rimasto sorpreso
della decisione dei giudici. Della strana logica giuridica seguita dal
magistrato per arrivare a quella astrusa, bislacca, incomprensibile conclusione.
La magistratura, però, è l’organo che amministra la giustizia, caposaldo di
qualsiasi paese democratico, dobbiamo fidarci, a prescindere. Questa fede, tuttavia,
a volte vacilla. Quando capita, come è capitato, che un giornalista sia stato condannato
per diffamazione, per aver raccontato, in un articolo, le pressioni che gli
sono state fatte da un tale, e poi dice che anche la ‘ndrangheta gli aveva
fatto delle pressioni, ma con metodi completamente diversi. E, aggiunge, al
fine di evitare equivoci, altri particolari, per distinguere, in maniera
inequivocabile, i due comportamenti, puntualizza e precisa: “completamente
diversi”. Pensava di aver fatto fino in fondo, correttamente, il suo dovere. E,
invece, no, arriva la sentenza di condanna, prima del Tribunale e poi della
Corte d’Appello di Perugia per diffamazione perché - questa la strabiliante
motivazione - aveva scritto che “il tale si era comportato come la ‘ndrangheta”.
Non solo la condanna penale, il danno da quantificare in separata sede, cioè in
un successivo procedimento civile, peraltro costosissimo. C’è voluta la
“miracolosa” sentenza della Cassazione, che ha annullato senza rinvio,
chiedendosi pure come sia stato possibile condannare il giornalista,
professionalmente impeccabile, per sanare l’obbrobrio giuridico e la clamorosa
ingiustizia che stava per concretizzarsi, fatta da ben sei giudici e due Pm.
Può succedere anche che si rimanga interdetti nel leggere, in una sentenza
della Cassazione, che una persona che aveva già fatto 55 (cinquantacinque!)
cause nei tribunali di mezza Italia per ottenere i premi di un concorso (appunto,
a premi) che quel signore non aveva “mai chiesto i premi”. Beh, allora, quella
fiducia barcolla, e dubbi atroci assalgono i cittadini. Ma fino a ieri, era,
sì, lecito e comprensibile, immaginare intrusioni e interferenze di varia
natura, ma senza però mai trovare riscontri per convincenti spiegazioni. Ora le
spiegazioni si trovano. Tante. Sconvolgenti.
Le racconta Luca Palamara, calabrese, di Santa Cristina d’Aspromonte, radiato
dalla magistratura, su cui sta indagando, per corruzione, la procura della
Repubblica di Perugia, che ha fatto le sue “confessioni” ad Alessandro Sallusti
che le ha raccolte e pubblicate in un libro, “Il Sistema”, edito dalla Rizzoli.
“La dea bendata è il simbolo della giustizia, ma lo è anche della fortuna. La
spada che, insieme alla bilancia tiene nelle mani può essere brandita a ragion
veduta, ma anche manovrata a casaccio o assecondando i capricci di chi la
impugna”. La descrive, e soprattutto la interpreta, così Palamara, la statua
della giustizia. Ma racconta anche quanto la magistratura ha pesato nelle
vicende politiche del nostro Paese e tante altre cose, lui che è stato il
nocchiero di una potentissima corrente, Unicost, una specie di sindacato della
magistratura, e ha fatto il bello e il cattivo tempo. Uno straordinario metodo
clientelare di raccomandazioni, posti, carriere, affari, potere, pressioni,
intrighi, c’è di tutto nelle parole e nell’esperienza di Palamara. “Il potere non
sta nelle sigle Associazione nazionale magistrati e Consiglio superiore della
Magistratura, ma nel controllo delle correnti che di quegli organismi decidono
vita e opere, e spesso anche miracoli. Nomina promozioni, punizioni…strumenti
per orientare anche l’azione giudiziaria sul campo: tutto passa da lì in un
continuo ed estenuante processo di mediazione, che spesso diventa di
contrattazione”. In merito alla preparazione dei magistrati, qualcosa si
sospettava, ma non che si arrivasse a tanto. “Candidati bravi e preparati? Può essere, a
volte sì, altre meno. È che non si va per curriculum, come si dovrebbe; si va
per mera spartizione e un magistrato altrettanto bravo ma non iscritto ad una
corrente è fuori, non ha speranza che la sua domanda venga accolta”. E poi, il lettore che ha avuto lo stomaco per
leggere le quasi trecento pagine, trova il colpo di grazia. “Negli ultimi dieci
anni non c’è un solo magistrato di Cassazione, non un solo procuratore o
procuratore aggiunto che non sia arrivato in quel posto grazie al “metodo
Palamara”. Senza parole, come nelle vignette, perché è difficile trovare le
parole adatte per esprimere lo stupore, l’amarezza e lo sgomento. Intanto,
l’inaugurazione del nuovo Anno Giudiziario si è svolto, proprio oggi, alla
presenza del Capo dello Stato, in un clima di diffuso, generale disagio e
imbarazzo.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
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