Finalmente qualcuno ha scoperto l'importanza della scuola
Non era mai successo di leggere,
come in questi ultimi giorni, tanti articoli sulla scuola, per questo, sono
rimasto molto sorpreso. Era ora. Era ora che almeno il ruolo di formazione
delle nuove generazioni venisse posto all’attenzione dell’opinione pubblica.
Solo che, a mobilitare le coscienze e l’interesse dei giornaloni, sono state le
decisioni del presidente Conte e di alcuni presidenti di Regione, di chiudere
gli edifici scolastici, privilegiando la didattica a distanza, al fine di contenere
l’infezione dal Covid-19. Che la didattica va fatta in classe è cosa risaputa e
abbastanza ovvia da sempre, non c’era bisogno degli articoli di Repubblica e del Corriere della Sera. E, infatti, nessuno ha mai detto, o scritto, che
le lezioni era meglio che si seguissero da casa con il computer o con altre
diavolerie tecnologiche. È stato solo deciso che poiché ogni mattina milioni di
studenti, per andare a frequentare le lezioni, affollano i mezzi di trasporto,
già affollati, era necessario, anzi indispensabile, che almeno gli studenti non
infettassero sé stessi e, poi a casa, i familiari, contraendo l’infezione
durante il viaggio. È una decisione dolorosa, da fare solo quando e dove serve,
consigliata dal buon senso, suggerita dai componenti del Cts, che da almeno
dieci mesi, ogni volta che parlano, quindi sempre, dicono che bisogna evitare
gli assembramenti; e c’è assembramento maggiore delle resse sulla metro e sui
pullman? È difficile capirlo? Senza insegnanti, senza compagni, senza
socializzare, i giovani si trovano a disagio, non ci sono dubbi su questo. Ma
un disagio, limitato nel tempo, non vuol dire provocare traumi e disastri come
è stato raccontato. “I nostri ragazzi abbandonati nella pandemia”. Andrebbero
ricordati i ragazzi che hanno vissuto il dopoguerra nella fame, tra infiniti
disagi, sorretti solo dalla tenacia e dalla forza di volontà, per superare e
riparare i disastri provocati dalla guerra. Un’epoca fatta solo di rinunce e sacrifici.
Oggi è una generazione “che trascorre il tempo appesa allo schermo di un
telefono che costituisce l’aggancio al mondo esterno”, è vero, ma non per la
pandemia, purtroppo. Durante l’estate, ho visto un ragazzo e una ragazza, diciottenni,
che, arrivati a Capo Vaticano, un posto incantevole della Calabria, sono
rimasti mezza giornata senza dirsi una parola, impegnati ad armeggiare con due
telefonini, senza alzare mai lo sguardo per godere di quelle meraviglie. Una
scena che si vede, ripetuta, dappertutto, per le strade, sui treni, nei
ristoranti, al bar. Che c’entra la pandemia e la didattica a distanza? Ma, poi,
questi geni, che sanno criticare tutto, hanno qualche alternativa se il numero
dei morti, già arrivati a 77.291, è ancora di centinaia al giorno? Entrati in
argomento, alcuni giornalisti si sono poi avventurati, visto che c’erano, sulla
qualità e serietà della scuola, sulla preparazione dei nostri alunni, mancando,
come avviene spesso, di individuare i veri responsabili del declino dei nostri
istituti e delle nostre università. Forse mi sarà sfuggito, ma non ho mai letto
una sola parola dei danni, delle macerie provocate dai politici, dalle leggi, dai
ministri, alcuni più ignoranti degli alunni. Di tutto questo non si sono mai
resi conto tutti costoro che adesso fanno il panegirico. Hanno notizia delle promozioni
in massa? Basta leggere le percentuali dei promossi agli esami di Stato. Le cui
modalità vengono cambiate ogni anno dal ministro in carica, per rendere le
prove sempre più facili e promuovere tutti. Per non perdere la bella e
consolidata abitudine anche quest’anno il ministro Lucia Azzolina ha intenzione
di cambiare ancora qualcosa e allora ha pensato di chiedere agli stessi studenti.
Dopo i banchi con le rotelle, i questionari per riformare gli esami con le
proposte dei maturandi. Un vulcano di idee che ci invidia tutto il mondo. È
come se per migliorare la terapia, i medici chiedessero consigli e suggerimenti
ai malati. Geniale, come sempre. Tornando ai giornalisti è da chiedere loro se,
a suo tempo, hanno avuto notizia del “miracolo” del ministro Luigi Berlinguer che
ha fatto diventare dirigenti, quasi a loro insaputa, tutti i presidi? Un
messaggio devastante. Tanto che da allora i dirigenti scolastici si sentono
manager, pensano alla gestione della scuola come fosse un’azienda e, ignorando quasi
del tutto la meritocrazia, credono che i risultati brillanti ed il successo siano
rappresentati dal numero dei promossi, come fosse produrre biscotti, e non dalla
preparazione degli alunni. E ci sono pure i danni provocati dai sussidi dello
Stato alle Università in base al numero dei laureati, e dai finanziamenti alle
scuole private. Possibile che non hanno mai saputo, gli intellettuali indignati
di oggi per qualche settimana di didattica a distanza, che i politici hanno
sempre considerato le scuole semplici luoghi di parcheggio. E di clientelismo.
E dov’erano costoro a non sentire mai il grido di allarme dei professori che
dicevano che le classi, affollate con 30 e più alunni, con aggiunto qualche
straniero che parlava solo a stento la lingua italiana, avrebbero avuto pesanti
ripercussioni sulla qualità dell’insegnamento. Questi, e tanti altri, sono i
mali che affliggono la scuola, che ignora la meritocrazia e mortifica le
eccellenze, provocando danni, questi sì enormi e incalcolabili, per il Paese. Sollevare
critiche e polemiche per provvedimenti certamente gravi, ma si spera,
temporanei, e comunque imposti dall’emergenza, indigna e indispettisce. E c’è
poi, infine, l’ultima sorpresa: gli studenti che manifestano, protestano perché
non possono andare a scuola. Ai miei tempi, facevamo la rassegna stampa, con un
orizzonte mondiale, per trovare un appiglio, in qualsiasi parte del mondo, per giustificare
qualche manifestazione e qualche sciopero, era, semplicemente, l’occasione per
non andare a scuola. E siamo cresciuti senza traumi, e imparando qualcosina in
più degli studenti di adesso.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia
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