In fondo al tunnel, una nuova Dc ?

 Sono anni che scrivo che una delle ragioni della crisi politica del nostro Paese è dovuta alla mancanza di un partito moderato, di centro, d’ispirazione cattolica. Capace di rappresentare, con la necessaria dignità, le istanze di milioni di italiani, la stragrande maggioranza, che è moderata, cattolica, liberale, profondamente democratica. È questo l’italiano medio. Equilibrato, di buon senso, lavoratore, semplice, capace. Da quando è scomparsa la Democrazia Cristiana non c’è stato nessuno capace di ricostruire, sulle macerie del vecchio partito, o a fondarne uno ex novo, con le caratteristiche di quello scomparso. Se non oso troppo, anche con quei valori. Siccome la Dc è sparita sotto i colpi di tangentopoli, pare - me ne rendo conto -  un’eresia parlare di valori. E, invece, posso assicurare, che c’erano, ci sono stati, tra i democristiani, molti galantuomini e statisti. Un ricordo personale, s’impone. La mia famiglia era democristiana, eccetto io, solito ribelle, che ho sempre votato, pure con mio zio segretario della Dc, partito liberale, peraltro l’unico voto, a quel partito, nel mio paesino calabrese. Tra l’altro c’era un’amicizia affettuosa con un senatore e ministro democristiano di Pizzo Calabro, Rocco Salomone. In campagna elettorale faceva tappa a casa mia, dove venivano ad incontrarlo amici e sostenitori. In uno di questi incontri un uomo del mio paese, che poteva disporre di un numero consistente di voti, semplicemente perché appartenente ad una famiglia numerosa, chiese un “favore” al senatore, ma Salomone disse che non poteva accontentarlo. Appena uscito, mio padre, che assisteva sempre ai colloqui, disse al senatore: ma così non le darà i voti; e lui, di rimando, ma io, caro Alfonso, devo rispondere prima di tutto alla mia coscienza. Una lezione di stile e di onestà. Anni luce di quello che è successo dopo, e di quello che sta succedendo adesso, in questi anni bui. E, in queste ore, ancora più bui.  Dunque non è il caso di fare di tutta l’erba un fascio e pensare in maniera nostalgica.  Proprio in questi giorni in cui si celebrano, esagerando, i cento anni della nascita del Pci, è il caso di ricordare che la Dc è stato - e si tratta di un merito straordinario -  il convinto e solido baluardo contro il rischio della vittoria dei comunisti e della dittatura del proletariato. Che il centro moderato abbia una funzione politica importante, oltre ad essere un serbatoio enorme di voti, lo ha capito, pur non essendo ancora una volpe della politica, solo Silvio Berlusconi. E infatti è sceso in campo con un partito, Forza Italia, che all’inizio aveva illuso tanti. Ben presto, però, quei programmi, ampiamente condivisibili, ribaditi sempre da Berlusconi anche in questi giorni, e ora, addirittura, rivendicati, come fossero propri, da Mara Carfagna su un giornale della casa, con una pretesa tra il grottesco e l’assurdo, sono stati, negli anni in cui è stato al governo il centrodestra, un fragile e ingannevole paravento agli interessi personale dell’ex cavaliere, che ha imposto al partito quell’impronta padronale, del tutto intollerabile.  È inutile ricordare, ancora una volta, le leggi ad personam che hanno annientato i nobili ideali di liberalismo e democrazia, e zavorrato il partito, che, strada facendo, si è snaturato e appiattito sulla Lega e Fratelli d’Italia, e quindi ridotto a terza forza all’interno dello schieramento di destra. Non solo, senza la carica populista e finanziaria, di Berlusconi, il partito è fatalmente destinato a scomparire, affidato, com’è ora, al mediocre Antonio Tajani e all’ancora più insignificante Mariastella Gelmini. E allora si ripropone la questione di un partito di centro, guardando il dimezzamento dei voti dei 5 Stelle ed al 40% di elettori che i sondaggi danno per scontenti e non disposti a recarsi alle urne.  Così che l’idea di avventurarsi, con un nuovo partito, in questa sterminata e solitaria prateria, credo che in questi giorni stia maturando nella testa di Giuseppe Conte. In verità non sarebbe il solo, la “tentazione” l’hanno già avuta, finora senza trovare entusiasmi e consensi, sia Giovanni Toti che Carlo Calenda. Molto dipenderà, naturalmente, dagli sviluppi che prenderà la crisi. Gli scenari sono diversi. Matteo Renzi si è reso conto, o glielo hanno fatto capire gli ex Pd che lo hanno seguito, che è stato un errore abbandonare la maggioranza per le conseguenze politiche che sta provocando e che potrà provocare. Infatti il prestigiatore di Rignano sta facendo sfoggio di tutte le sue doti dialettiche, in tv e sui giornali, per cercare di giustificare il gran gesto e ricucire lo strappo. Non perché si è ricreduto, con la sua presunzione ed arroganza è difficile che sia disposto a farlo, ma perché Iv, il suo partito fantasma formato da tutti transfughi, soprattutto dal Pd, rischia di scomparire se i parlamentari dovessero decidere di tornare alla casa madre, da cui, peraltro sono usciti senza alcuna spiegazione. Conte ha, dunque, qualche soluzione per proseguire la sua navigazione. La prima potrebbe essere, appunto, il ritorno dei parlamentari di Renzi, la più semplice ed anche la più naturale. La seconda è quella di trovare una decina di parlamentari che siano in grado di garantire maggioranze certe alle Camere e nelle commissioni. La terza ipotesi, se nessuna delle due si dovesse realizzare, ci sarebbe la crisi ufficiale e ed il ritorno alle urne, ma solo come estrema ratio, perché, tra l’altro, solo dei pazzi possono rinunciare ai 350.000 euro, lo stipendio degli onorevoli e dei senatori da qui fino alla scadenza naturale della legislatura. In questo caso Giuseppe Conte potrebbe scendere in campo e tentare l’avventura con una nuova “creatura” di centro. Ho escluso la ricucitura con Renzi, non perché impossibile, al contrario è caldeggiata e auspicata da molti nel Pd (la solita ambiguità degli ex comunisti) ma perché sarebbe, a prescindere, una maggioranza precaria, vista, per l’ennesima volta, la totale inaffidabilità del senatore toscano. E di questo credo che sia perfettamente convinto, più di tutti, Giuseppe Conte. Le votazioni sarebbero, comunque, dall’esito non incerto, ma incertissimo, al contrario di quello che pensano e dicono Salvini, Meloni e Berlusconi. Non solo perché, come si sa, ci sarà un numero dimezzato di seggi, ma anche perché si dovrà ancora fare la nuova legge elettorale. Come se non bastassero tutte le incognite sanitarie e i problemi economici, l’unica cosa di cui non si sente il bisogno è quello di andare a votare, lo condivide, secondo l’ultimo sondaggio, solo un italiano su cinque. Una serie di irresponsabilità infinite, inconcepibili con la pandemia che non si riesce a fermare e che provoca, ancora, centinaia di morti al giorno.  

                        Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com - Agenzia Stampa Italia

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