L'appuntamento con le Poste dall'alba al tramonto e in un giorno indefinito
L’avventura
è cominciata qualche giorno fa quando ho deciso di passare ad un altro gestore
per il mio smartphone: da Poste mobile a Tim.
La decisione è avvenuta martedì della scorsa settimana e Tim ha promesso
nel fare il contratto, attraverso quei collegamento online, di consegnare la
nuova sim, la minuscola tesserina con il numero, entro venerdì. Giovedì una voce
sconosciuta, dal piglio borioso di quelle persone che si sentono importanti, mi
ha chiamato al telefono per informarmi che la nuova sim mi verrà consegnata
martedì, timidamente ho fatto notare che l’impegno era di consegnarla venerdì. “Che c’entra - mi replica con vistosissimo
fastidio l’anonima interlocutrice - quella è Tim, noi siamo le Poste”. Davanti
a cotanto monumento non ho osato fare osservazione e nemmeno chiedere l’orario,
sapendo che l’orario s’intende dall’alba al tramonto, in pratica quando passa,
se passa, il portalettere. Disdico i pochi impegni per martedì, in attesa del
suono del campanello. L’appuntamento così vago comporta l’obbligo, che mi pare
assurdo, inconcepibile e pure un pochino arrogante, di dover stare tutta la
giornata in casa, io sono pensionato, ma uno che lavora, che fa? Deve prendere un giorno di ferie? Passa il martedì senza alcuna notizia. Arriva
mercoledì, intorno a mezzogiorno provo ad attivarmi telefonicamente per avere
informazioni. A quei due numeri telefonici, con prefisso 06, dai quali mi sono
state fatte le precedenti comunicazioni, non risponde nessuno, o, meglio,
risponde una voce registrata per dirmi che sono numeri intestati alle Poste, e,
subito dopo, si sente il classico clic. Provo, allora, con il numero verde, che
mi è stato fornito da un impiegato di un ufficio postale di Perugia, ma l’aiuto
(lo chiamano aiuto quella diavoleria che dovrebbe rispondere automaticamente
alle richieste) mi risponde di non capire quello che dico, ci provo sei volte e
ad un certo punto, quando chiedo di parlare con un operatore, fa cadere la
linea. Un disastro. Nel pomeriggio sono costretto a coinvolgere mia moglie:
mentre io rimango, solerte e speranzoso, a presidiare diligentemente il
campanello di casa, lei va all’ufficio postale, poco distante, per cercare di
avere qualche ragguaglio. Siamo a Perugia, semicentro, non nel bosco
dell’Abruzzo. All’ufficio postale un impiegato apre il computer e digita il
numero della spedizione che era stato fornito via sms. “No, egregia signora, il
plico con questo numero non è più da noi alle Poste, è stato dato in carico ad
un corriere privato”. Questo il laconico referto postale. Mia moglie torna e mi
dà questa notizia, intanto è passato il secondo giorno. Sono le 20,22, indosso
il pigiama e siamo pronti a cenare quando arriva una telefonata: è la
portalettere che avrebbe dovuto consegnare il pacchetto, ma aveva avuto un
inconveniente con l’automobile e non lo aveva potuto consegnare. Penso io: ma la
telefonata non la poteva fare quando ha avuto l’inconveniente? Pazienza. Che
fare? Per non passare il terzo giorno in casa come avviene quando si è agli
arresti domiciliari, conveniamo che sarò io ad andare a ritirare il pacchetto con
la sim nell’ufficio dello smistamento della posta. Cosa che ho fatto. A questo
punto vorrei fare notare a Matteo Del Fante, a.d. di Poste Italiane, che qualche
giorno fa sul Corriere della Sera si è
vantato dei miliardi di utili guadagnati, che, forse, sarebbe altrettanto importante,
oltre al bilancio, dare un’occhiata anche al servizio che, come si vede, non è proprio
eccezionale. Anche perché devo ricordare che l’estate scorsa, in Calabria, in
un paesino dove si conoscono tutti, una postina ha mandato indietro subito, senza
lasciarle in giacenza presso l’ufficio postale per qualche giorno come prevede
la prassi, due lettere raccomandate apponendo la scritta, non corrispondente al
vero: “sconosciuto” su una e “trasferito” su l’altra. In una di queste c’era un
assegno dell’Agenzia delle Entrate per un rimborso Irpef che ho potuto poi riscuotere
solo due mesi dopo. Insomma, come servizio pubblico non mi pare il massimo.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
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