Il ruolo, aggiuntivo e sorprendente, della magistratura che protesta per la riforma della separazione delle carriere

 

Se qualche marziano arrivasse a Roma sarebbe sorpreso – ha scritto sul Corriere della Sera Antonio Polito – che il “sindacato” dei magistrati sia schierato contro il governo per la riforma costituzionale della giustizia sulla separazione delle carriere. La sorpresa del marziano, Polito la fa propria, e spiega il perché in maniera discutibile, incolpando la magistratura che, almeno in queste situazioni, non mi pare abbia alcuna responsabilità. Secondo i magistrati questa separazione delle carriere - Pm da una parte e giudici dall’altra - nuoce gravemente alla giustizia. Ci sono tanti altri che la pensano diversamente, ma senza dire come e perché siano favorevoli. È scesa perfino in campo Marina Berlusconi, con articoli di un certo spessore, su alcuni giornali, per esultare che, finalmente, è stata votata una riforma sempre voluta anche dal padre, Silvio. Il mio parere è che questa divisione delle carriere - oltre al fatto che molto probabilmente la riforma sarà bocciata dal referendum popolare - è del tutto inutile, e che certamente non risolverà nessuno dei mali della giustizia. Sperando, poi, che non avvenga quel che temono molti magistrati, primo fra tutti Nicola Gratteri, procuratore a Napoli, che sono nettamente contrari perché pensano che il governo abbia intenzione di mettere sotto tutela del potere esecutivo i pubblici ministeri. Sarebbe cosa di enorme gravità, oltre che palesemente incostituzionale.  Per questo, anche per questo mi pare che sia non solo del tutto legittimo, ma pure doveroso che i magistrati facciano di tutto per informare l’opinione pubblica di questo rischio. Ma secondo Polito, e tutti quelli che criticano la presenza dei magistrati in tv, chi dovrebbe spiegare ai cittadini, che con il referendum saranno chiamati, in primavera, ad esprimere il proprio voto, com’è la questione? Chi lo dovrebbe spiegare se non gli uomini di legge. D’altronde i segnali che arrivano dal governo non sono tranquillizzanti, hanno finora sempre pensato a difendere la classe politica più che i cittadini comuni, come è successo, in maniera macroscopicamente evidente, con l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Decisione gravissima le cui conseguenze non sono state messe, colpevolmente, nella giusta evidenza né dalle opposizioni né dalla stampa. Così gli abusi sono rimasti, come e più di prima, ma, in pratica, sono diventati “abusi legittimi”, un ossimoro, capolavoro di Carlo Nordio, il cosiddetto ministro della giustizia. Se fosse stato dell’ingiustizia che cosa avrebbe combinato? Preoccupano anche le altre miniriforme, quelle che danno l’impressione che le leggi siano sempre a tutela dei colpevoli, soprattutto se politici. Infine, lascia pure perplessi quella che Polito chiama “giuridificazione” della società. Scrive: “Ciò che succede nella famiglia, nella scuola, sul luogo del lavoro, in una corsia di ospedale, è sempre più spesso oggetto di ricorso alla giustizia, per regolare sistemi un tempo in grado di regolarsi da soli. È la “giuridificazione” della società, che da un lato moltiplica la produzione delle leggi, spesso micro-leggi, e dall’altro consegna ai giudici il potere di “fare” giustizia, invece che “amministrarla” soltanto”. Ma non credo che il fatto di chiamare in causa e coinvolgere così tanto spesso i magistrati nella vita quotidiana sia affidare a loro il potere di fare giustizia. Non la fanno nemmeno quando partecipano al dibattito politico, come in questo caso del referendum, perché hanno gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Il problema nasce dal fatto che le controversie, spesso, non hanno soluzioni. Non c’è mai, non si trova mai un responsabile. Non si sa a chi è possibile rivolgersi. Tante volte abbiamo cercato, inutilmente, l’interlocutore giusto per risolvere questioni, anche di poco conto, ma quasi mai si riescono a trovare strade alternative per evitare il ricorso, peraltro costoso e stressante, e a volte anche inutile, alla magistratura, che, così, è diventata, per il cittadino semplice che non ha le amicizie che contano, l’extrema ratio.    

Fortunato Vinciwww.lidealiberale.comAgenzia Stampa Italia  

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