L'Ocse e le mezze calzette che non sentono e non capiscono

 

Pasticcioni e incapaci. La Tac che ha fatto all’Italia l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo) nell’Economic Survey di qualche giorno fa, è preoccupante. Lo è per la situazione generale, lo è per i tanti compiti che dovremmo fare, lo è, ancor di più, perché non abbiamo le persone capaci di saperli e volerli fare questi compiti, e, allora, è un Paese che procede a tentoni. Chi ha avuto la voglia e la pazienza di seguire, nel tempo, quanto scritto su questo giornale online ha già avuto modo di occuparsi - come fa ora, molto autorevolmente, l’Ocse - delle tante cose che non vanno nel nostro Paese. La questione principale è “l’economia che sta rallentando, a causa dell’inasprimento delle condizioni finanziarie” mentre il debito pubblico, enorme, 144,4% del Pil, corre verso l’aumento e l’abisso. Una volta, per cercare di colpire i lettori sulla situazione disastrosa, questo debito lo abbiamo scritto in numeri, così: 2.900.000.000.000 di euro. Ma i debiti dei cittadini italiani non sono solo questi, e quelli dell’eventuale mutuo familiare, ci sono pure, qui non conteggiati, i debiti delle regioni, delle province, dei comuni, delle Asl, delle partecipate…e mi fermo qui per evitare lo sconforto. Che fare? Lo dovrebbero capire tutti, senza bisogno di suggerimenti, che “è necessario – come dice l’Ocse – attuare riforme fiscali e della spesa per contribuire a portare il debito su un percorso più prudente. Al fine di ridurre il debito pubblico in maniera durevole, a partire dal 2025, la priorità assoluta per la politica fiscale italiana consiste nell’assicurare il risanamento dei conti pubblici portando avanti tale attività per svariati anni. È necessario, inoltre, contenere l’aumento della spesa salvaguardando al contempo investimenti pubblici al fine di ridurre al minimo gli effetti collaterali negativi sulla crescita, altrimenti, entro il 2040, si arriverà al 180 % del Pil “. Le ricette dell’Ocse sono molteplici: rivedere la spesa pensionistica, tassare proprietà e successioni, ridurre il contante, limitare la flat tax, combattere l’evasione fiscale. Non tutto è condivisibile, perché prima di aumentare le imposte, che, per quelli che le pagano, sono già insopportabili, pensiamo, invece, che bisognerebbe fare una lotta, vera e feroce, all’evasione fiscale, dove c’è un tesoretto di 100 miliardi di euro l’anno, protetto dalla politica, che, in quell’humus maleodorante, trova voti e consensi. Subito dopo bisogna ridurre drasticamente tutte quelle spese che sono uno spreco di risorse, indecente, vergognoso e illegittimo. Cominciando da quella enorme follia che è il ponte sullo stretto di Messina e alle altrettante inutili e scandalose consulenze nella sanità, di cui, ieri, con un’inchiesta sul Corriere della Sera, hanno dato notizia Milena Gabanelli e Simona Ravizza. Questi sono solo due esempi, ma certamente sono decine, per non dire centinaia, i rivoli in cui si disperdono, con disarmante facilità, i soldi pubblici. E poi, infine, anche l’Ocse ricorda che è necessario risparmiare “limitando la proliferazione di regimi fiscali speciali di flat tax”. Meno male, altrimenti saremmo rimasti solo noi, come abbiamo scritto più volte, ad essere scandalizzati che ai professionisti e partite Iva si possa far pagare, e fino a 85.000 euro di reddito, solo il 15 % di Irpef, mentre i lavoratori dipendenti e i pensionati pagano fino al 43 %. Oltre che una clamorosa ingiustizia, è una legge che fa scempio della Costituzione. Violato l’art. 3 (…” cittadini eguali davanti alla legge”) e art. 53 (“sistema tributario informato a criteri di progressività”). E i politici cosa pensano di fare? Niente, anzi, come al solito: tutto l’opposto.  

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

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