O Quirinale o Città della Pieve

 

La partita a scacchi che si sta giocando, dal popolo delle mezzecalzette, per la scelta del successore di Sergio Mattarella, in vista della scadenza del febbraio 2022, è inevitabilmente confusa, perché gli interessi in gioco sono tanti e assai importanti. Proviamo a mettere alcuni punti fermi e fare un po’ di luce in questa selva oscura. Chiariamo subito, per scartarla, come ho già fatto nel titolo, non credo che sia da prendere in seria considerazione l’opzione che Mario Draghi rimanga a Palazzo Chigi fino a marzo 2023, per far finire la legislatura. Tutti quelli che auspicano che l’ex presidente della Bce rimanga a guidare il governo lo dicono per interessi personali e/o di partito. La stragrande maggioranza dei parlamentari lo fa perché spera, così, di esorcizzare le elezioni anticipate e rimanere un altro anno seduto su una poltrona che gli rende più di centomila euro. Non si può rinunciare a cuor leggero a questa fortuna. Tutti tengono famiglia e questa è la motivazione più solida che prescinde, peraltro, da interessi di partiti e schieramenti. Poi ci sono quelli che ritengono per “il bene degli italiani” che Draghi rimanga al suo posto, ma lo fanno solo per lasciare libero il Quirinale nella speranza - più utopistica che remota - di mandarci Silvio Berlusconi. Chiarissima l’ultima invettiva di Antonio Tajani, vice presidente di Forza Italia: “Se Draghi viene eletto si va al voto”. Ma Mario Draghi non è così ingenuo da non capire che le forze politiche lo vogliono (vorrebbero) sfruttare fino a marzo 2023 per mandarlo, poi, a casa, un minuto dopo che è finito lo spoglio delle schede elettorali. Perché è chiarissimo che, dopo le votazioni, a palazzo Chigi ci andrà un politico, salvo che non ci siano situazioni di gravissima emergenza. Non solo. Mario Draghi, adesso, può fare quasi sempre quello che vuole perché ha la straordinaria e totale protezione di Sergio Mattarella, che lo ha scelto, lo ha voluto e l’ha imposto ad una maggioranza balbettante e incapace, mai così tanto divisa ed eterogenea. Senza Mattarella, Draghi sarebbe solo, senza salvagente, in balia delle rissose mezzecalzette, costretto a dirimere, ogni ora, litigi infiniti, e con la crisi sempre incombente, peraltro senza nessuna personale prospettiva politica. L’ultimo bollettino parla di scontri con Franceschini, freddo con Giorgetti che non controlla Salvini, va un po’meglio con Orlando e Speranza. Può continuare così?  Significherebbe solo accettare un sacrificio, per lui del tutto inutile, un’agonia intellettuale, un suicidio professionale. E, allora, c’è una sola strada: quella del Quirinale, subito, a febbraio. Se, però, Maio Draghi non sarà eletto capo dello Stato, a febbraio tornerà a Città della Pieve, a fare il marito gentile e premuroso di Maria Serenella.

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia    

 

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