La scienza come una squadra di calcio, con difensori, centrocampisti e attaccanti

 

L’esibizione della squadra della scienza va in onda ormai da quasi due anni ed è uno spettacolo che sarebbe pure gradevole ed esilarante se non fosse per i risultati, piuttosto deludenti, al limite della retrocessione. Non ci sono gli stadi, ma gli studi, quelli televisivi, con i talk show. In verità nessuno di loro appartiene alla scienza, perché la medicina non è una scienza, ma hanno già tante crisi di identità che non possiamo aggiungere anche questo pesante enigma, facciamo finta di niente, consideriamoli tutti scienziati, tanto non costa nulla. Come in tutte le squadre di calcio, ci sono i difensori, i centrocampisti e gli attaccanti. Il nemico è il Sars-CoV-2, o almeno dovrebbe essere, invece, l’avversario, infido e insidioso, lo trovano, con estrema, sorprendente facilità, nella loro stessa formazione. E, allora, invece di limitarsi a difendere noi tutti dal virus, difendono, soprattutto, con le unghie e i denti, le proprie, a volte personali, personalissime convinzioni. Dicono che sono frutto della ricerca, ma quando i risultati della ricerca cambiano, come cambiano, sono costretti a fare qualche fallo alla coerenza per non ammettere di avere sbagliato. Ci sono, poi, i centrocampisti. Sono più ambigui che sibillini, menano il can per l’aia, fanno melina, non sono mai né bianco né nero, sempre grigio. E non sono molto amati dai conduttori, perché schivano, sfuggono la rissa. Servono solo per occupare le sedie e coprire i ruoli, ma danno poco allo spettacolo. I migliori, per lo spettacolo, sono, invece, naturalmente, gli attaccanti. Come avviene con le vere squadre di calcio sono i più richiesti, quelli che il gol, cioè l’insulto, ce l’hanno nel sangue. Basta che il conduttore faccia l’assist e si scatenano: fuoco e fiamme. Si scagliano contro il primo che capita. Dicono tutto e il contrario di tutto. La verità non conta, è un banale optional, quel che conta è schernire, denigrare, oltraggiare qualcuno, meglio ancora se fa parte della squadra. Lo share cresce, la pubblicità pure. L’incertezza, anche, di noialtri che non sappiamo più che fare. Il più avvilito è l’allenatore, Roberto Speranza. Ogni giorno più triste e preoccupato. Non sa, oltre a tutto il resto, come limitare gli autogol.

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia       

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