La disponibilità di "nonno" Draghi per il Quirinale provoca il panico nei partiti
Prima
c’erano tante mezzecalzette, insofferenti, perché Mario Draghi non diceva
quello che voleva fare, cioè se stare a palazzo Chigi o ambire al Quirinale, ed
ora che non lo ha detto ma lo ha fatto chiaramente capire che è disponibile per
salire al Colle, adesso c’è il panico. I primi ad essere tarantolati dalla
notizia, naturalmente, sono state le truppe, sempre più risicate, al servizio
di Silvio Berlusconi. Le dichiarazioni che hanno fatto sono state penose, nel
goffo e patetico tentativo di spiegare come e perché Mario Draghi sia, invece,
molto più utile, anzi indispensabile, alla guida del governo, con ciò sperando,
fino all’ultimo, di lasciare il posto libero al Quirinale al loro datore di
lavoro. All’unisono hanno detto che è indispensabile che rimanga a palazzo
Chigi. Ma è un’ipotesi, come ho motivato nei giorni scorsi, di terzo grado,
cioè impossibile. Stare un anno, senza la protezione di Sergio Mattarella, in
balia dei Salvini e dei Renzi, dei Conti e dei Letta, con la minaccia della
crisi ad ogni momento, è una tortura che non si augura nemmeno ai peggiori
nemici. E poi per fare cosa? Per essere messo alla porta nella primavera del
2023, appena finite le votazioni, come peraltro è giusto che sia, per lasciare
la guida del governo ai vincitori delle elezioni. No, questa di rimanere al
governo per un altro anno è da escludere in maniera categorica. O al Quirinale
o a Città della Pieve, il titolo che ho scritto qualche settimana fa, è sempre valido
ed è sempre di stretta attualità. Le sue dimissioni, se non dovesse essere
eletto al Colle, sono scontate, ma non per fare un dispetto. Sono doverose,
oltre che politicamente corrette, perché Mario Draghi è stato un presidente del
Consiglio giunto a palazzo Chigi con una procedura quantomeno anomala, voluto,
imposto ai partiti, da Sergio Mattarella, e la maggioranza che lo ha finora
sostenuto è stata creata, sull’onda dell’emergenza, dal capo dello Stato. Se al
Quirinale dovesse andare qualsiasi altra persona, le dimissioni di Draghi sono
opportune, a prescindere. A questo punto è legittimo chiedersi come mai ci
siano stati così tanti turbamenti, incertezze e inquietudini sulla
disponibilità di Draghi per il Colle. Delle ragioni del centrodestra abbiamo
detto, tanto che dopo un vertice hanno deciso di rinviare la loro decisione a
gennaio. Gli altri, dai 5 Stelle al Pd, Iv e Leu, hanno il terrore delle
possibili elezioni nella primavera prossima. Un anno prima della scadenza
naturale della legislatura significa perdere un anno di emolumenti, quasi 150
mila euro, e per la stragrande maggioranza di questi parlamentari anche di non
rivedere più questa pacchia, mi pare che sia, già questo, un buon e valido motivo
per rimanere attaccati al seggio a tutti i costi. È vero che Draghi nell’ultima
conferenza stampa ha detto che la legislatura dovrà continuare, anche dopo la
elezione del nuovo capo dello Stato, ma non è sicuro, con lui al Colle non ci
sarebbe nulla di scontato, come hanno visto tutti i partiti in questi mesi.
Allora, chi potrebbe essere più affidabile, nel senso di essere rassicurante
nei confronti dei parlamentari, di promettere loro di non sciogliere le Camere
e nello stesso tempo (quasi) sicuro che non rimarrebbe, per l’età, (83
primavere) sette anni al Quirinale? Il mio algoritmo dice un nome: Giuliano
Amato.
P.S. Agli amici, affezionati lettori (tanti,
oltre ogni più rosea previsione) gli auguri di un buon Natale e di un
felicissimo anno nuovo.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
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