Draghi, il "nonno" per il Quirinale

 

La sorpresa, semmai, è che ci sia stato qualcuno sorpreso dall’atteggiamento di Mario Draghi. Perché non avrebbe proposto, nella conferenza stampa di oggi, neanche su precisa domanda, la sua candidatura per il Quirinale. Non lo ha detto perché non lo poteva dire, ma ha fatto capire che a quella carica ci tiene. Quando si è definito un “nonno al servizio delle istituzioni” ha mandato un messaggio nemmeno tanto cifrato. Ma, poi, lo aveva detto negli ultimi giorni, un’infinità di volte: decide il Parlamento; cosa, peraltro, del tutto ovvia. Una sola cosa è pressoché certa, non rimarrà a palazzo Chigi. L’ho già scritto qualche settimana fa: “O al Quirinale o a Città della Pieve”. E oggi lo si è capito quando ha detto che il Pnrr (Piano di ripresa e resilienza) è ben impostato e può camminare da solo. Come dire, d’ora in poi la mia presenza a palazzo Chigi non è più indispensabile. Eppure, sono ancora tanti, compreso qualche giornale straniero, che pensano, come un auspicio, che l’ex presidente della Bce rimanga a capo del Governo. Impossibile. Se non sarà lui il successore di Sergio Mattarella ci sarà qualcun altro anche a palazzo Chigi. Queste sono le uniche cose certe in un groviglio, inutile, di ipotesi. D’altronde che interesse può avere a rimanere alla guida di questo governo e con questa maggioranza? Nessuno. Mario Draghi, finora, ha potuto fare il bello e il cattivo tempo anche perché al Quirinale c’è Sergio Mattarella, suo protettore. Chi lo ha scelto, lo ha voluto e lo ha imposto ad una maggioranza mai così pasticciona ed eterogena, ma tutto sommato, arrendevole e silente; senza Mattarella cambierebbe anche questa situazione, e non sarebbe affatto un dettaglio. E, allora, poiché questo è sicuro, che senso ha, soprattutto che prospettiva ha, restare un altro anno a guidare il governo con una maggioranza dall’equilibrio instabile capace di minacciare la crisi di governo ad ogni piè sospinto? Impensabile. Rimanere fino alle elezioni del 2023 significa imboccare la strada del suo licenziamento, perché è chiaro a tutti, e il primo a saperlo è proprio lui, quando, appunto nel 2023, ci saranno le votazioni Draghi sarà fuori. I vincitori delle elezioni vorranno, a ragione, peraltro nel rispetto della volontà popolare, la guida del governo. E Draghi non potrebbe mai più essere presidente del Consiglio. Nelle ultime ore è stata avanzata un’ipotesi che appare remota per non dire impossibile, di scuola, si potrebbe dire, ma interessante. Sarebbe il “blocco istituzionale“, far rimanere, entrambi, al loro posto: Mattarella al Quirinale e Draghi a palazzo Chigi, fino alle elezioni del 2023. Il capo dello Stato ha detto un’infinità di volte, e ripetuto all’infinito, che assolutamente non intende rimanere al Quirinale, questa è la sua volontà. In mezzo a questa chiusura netta ci potrebbe, però, essere uno spiraglio, uno solo ed è questo: se alla prima votazione tutto il Parlamento, compreso i delegati regionali, sulla scheda scrivessero Sergio Mattarella. In questo caso, il richiamo della Patria, così compatto e unanime, forse, potrebbe far breccia nella fermezza di Mattarella. E, in questo caso, solo in questo caso, Mario Draghi potrebbe rimanere, anche lui, a palazzo Chigi.

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia   

 

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