Il pallone, gonfiato e appesantito da 5 miliardi di debiti, rischia di non saltare più
Le
società calcistiche sono piene di debiti, arrivati già a 5 miliardi di euro.
Sarebbe il caso di ritenere la situazione allarmante e da non sottovalutare. Il
virus ha certo aggravato le cose, ma fanno peggio, da molti lustri, i
presidenti e gli amministratori dei club. La sola Inter, che ha appena vinto lo
scudetto, è a 900 milioni di debiti. Ma ci sono tante altre società, piene di
debiti. Continuare in questa assurda corsa verso l’indebitamento mi sembra una
pazzia. È possibile che nessuno capisca che, così, prima si drogano i
campionati e poi si fallisce? Il momento, per pensarci, e per porre qualche
rimedio, sensato e responsabile, è adesso, prima che riprenda quella folle
corsa che manda tutti nel pallone e che porta il nome di “calcio mercato”. Ma a
giudicare da queste prime avvisaglie, dal “valzer delle panchine”, come
chiamano questi vorticosi cambi a suon di milioni dei vari allenatori che
vediamo in queste ore, sembra che non ci sia nessuna intenzione di contenere i
costi, anzi, sembra proprio il contrario. Sentire dire a Giampaolo Pozzo, patron
dell’Udinese, che lì “tutto è fatto a costi possibili”, non sembra un
comportamento di un uomo saggio ed equilibrato, ma il pensiero di un signore venuto
da un altro mondo. I campionati, così, sono drogati, perché se c’è una società che
si può indebitare e comprare i giocatori più forti per fare una squadra per
vincere rispetto ad un’altra che, invece, pensa, con senso di responsabilità,
al bilancio e all’equilibrio economico, la competizione dal campo sportivo si
trasferisce al campo finanziario, senza limiti e senza regole. Anche Pozzo, se
avesse voluto fare i debiti, avrebbe potuto formare una squadra competitiva non
solo per salvarsi dignitosamente, cosa che avviene da 26 anni, ma anche per
contendere lo scudetto all’Inter. Ho letto che il fondo che ha fatto l’ultimo finanziamento
alla società neroazzurra, 275 milioni di euro, ha imposto, peraltro
giustamente, un ridimensionamento della spesa, e, allora, l’allenatore Antonio
Conte, che non poteva accettare che non si facesse una squadra ancora più
competitiva, rispetto a quella che aveva appena vinto lo scudetto, forte del principio che “per un top coach serve un
progetto top”, ha lasciato il club.
Questo episodio, peraltro uno dei tanti, induce ad una considerazione:
se un allenatore ha bisogno di tutti i migliori calciatori in circolazione per
vincere, in cosa consiste la sua bravura? Se in attacco hai Messi, Mbappé e
Cristiano Ronaldo, a cosa serve l’allenatore, pagato diversi milioni, presunto fenomeno?
Per vincere, con i mostri sacri in organico, basta il magazziniere. Ma questa
corsa all’indebitamento folle, con conseguente pesante squilibrio economico
finanziario, non sarebbe consentito dalle norme perché ci sono degli organismi
tecnici “per verificare e controllare i requisiti organizzativi, funzionali
economico-gestionali e di equilibrio finanziario delle società”. Sarebbe quello
che adesso si chiama “fairplay finanziario”. La funzione di controllo è
demandata dal Coni alla Federazione la quale è obbligata a seguire i principi e
le modalità imposti dal Coni. La Figc si avvale, per questi controlli, della
Covisoc (Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche)
che opera sulla scorta delle norme organizzative interne della Figc (Noif) al
fine di “garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi”. Appunto. Questo
vorrebbero le norme, ma nel nostro Paese, e, purtroppo, non solo nel calcio, le
norme sono quelle cose astratte che tutti ignorano e nessuno rispetta. Tanto
non succede niente.
Fortunato
Vinci – www.lidealiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
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