Fabio Caserta, il garbato artigiano del Sud, venuto a Perugia per scrivere una favola con i Grifoni

 

A sperare in questa promozione, alla viglia del campionato, erano in tanti, praticamente tutti; a crederci, però, pochi, solo quelli ottimisti sempre, a prescindere. Non ci credevano per le macerie lasciate dall’incredibile, ancora adesso, incomprensibile retrocessione. Non credevano nella società, responsabile, per la sua parte, della Caporetto, non ci credevano, infine, perché si consideravano più forti le squadre avversarie. L’unico che godeva della moderata stima e della altrettanta moderata fiducia dei tifosi era Fabio Caserta, l’allenatore. Che aveva un compito arduo. Aveva tanti uomini, ma non una squadra, era come Geppetto, con in mano un pezzo di legno, che doveva tagliare, piallare, modellare, lisciare, farlo diventare burattino. Questo era quello che voleva Massimiliano Santopadre, questo era il compito dell’allenatore, praticamente un’impresa. E che fosse veramente un’impresa, si cominciò a capirlo quasi subito, all’inizio, e anche quella sobria certezza nel tecnico cominciò a vacillare, già alla prima giornata. Quando si videro i calciatori del Fano (il Fano!) maramaldeggiare al “Curi” e portarsi pure in vantaggio, una, due volte, con un micidiale, terrificante uno, due. I tifosi non c’erano sugli spalti ma, suppongo, saranno rimasti ammutoliti, a casa, davanti alle immagini, anch’esse instabili e precarie, della tv. C’è voluta una ripresa, impastata di disperazione e d’orgoglio, per recuperare e risalire la china fino ad arrivare ad un 2-2 che almeno consentiva di racimolare un modesto punticino in classifica. Le due vittorie che seguirono, ad Ascoli (Coppa Italia) ed Arezzo, portarono più curiosità che fiducia, che, però, prese a vacillare dopo la sconfitta interna con il Cesena, e finì del tutto tre giorni dopo nell’abisso a Mantova (5-1). Una partenza shock che, come un uragano, spazzò via progetti e speranze, tanto che Gabriele, il mio amico benzinaio, tifosissimo, s’impegnò, alla soglia della pensione, a fare un bel mucchio di chilometri se il Perugia fosse andato in serie B, traguardo ritenuto impossibile. Lo immagino adesso, in queste ore, tutto immerso nel suo conflitto d’umori. Le cause di quella partenza disastrosa, erano da ricercare, in parte, nella mancanza della consueta, ancorché necessaria, preparazione precampionato. Tuttavia la squadra trovò la forza di reagire, migliorò l’assetto tattico e prese il largo con alcune incoraggianti e qualificanti vittorie, a Modena (0-1) e in casa, 3-0, contro il Padova, capolista. Questi successi si alternarono a pareggi piuttosto deludenti (Carpi, Gubbio, Sudtirol). Insomma un’alternanza di risultati dovuta, principalmente, alla mancanza, in organico, di un bomber, l’attaccante in grado di far vincere le partite anche quelle giocate male. Erano tutti discreti attaccanti ma nessuno con le caratteristiche, con la grammatica del goleador. Alla fine i gol sono arrivati, 67, discreto bottino, frutto, però, di una cooperativa di giocatori, 17. Quando mancavano cinque partite al termine il Padova era sempre primo, seguito dal Sudtirol, il Perugia terzo e come prospettiva i playoff, peraltro da una posizione non facilissima. Ero solo io, una sera in tv, a sostenere che i campioni che aveva a disposizione Andrea Mandorlini non fossero tali come li descrivevano decine di esperti che fanno spesso passerella in tv e scrivono di calcio non avendo mai fatto una partita. Il mio ragionamento non aveva nulla di profetico, era semplicissimo, quasi banale: se è vero (come sostenevo e sostengo) che il Padova non è così forte come dicono, è altrettanto sicuro che non potrà vincere né a Trieste né a Mantova. Già aveva vinto, per caso e con un rigore dubbio, a Verona contro la Virtus.  Infatti, non solo non ha vinto ha anche perso, peraltro malissimo, soprattutto a Modena.  E c’è voluta quella disgraziata prestazione del Perugia, con conseguente sconfitta, a Gubbio, per non finire il campionato una settimana prima con tre punti di vantaggio. Aver dovuto aspettare l’ultimo istante per festeggiare non minimizza e nemmeno ridimensiona il successo, al contrario, esalta una promozione sofferta, tormentata, ma ampiamente meritata. Ha vinto la squadra migliore, non ho dubbi. Con il tecnico migliore.  Ha vinto Fabio Caserta, l’artigiano garbato, educato, quasi timido, bravo, venuto dalla Calabria, che dedica le vittorie alla mamma, e che ha conquistato, alla fine, seppure tra alti e bassi, la stima di tutti. Quel pezzo di legno che gli aveva affidato Santopadre lo ha saputo far diventare un burattino, bello, parlante. E ha scritto una favola che i tifosi perugini, smarriti e ancora traumatizzati dalla precedente esperienza, hanno molto apprezzato e non dimenticheranno.  C’è un solo, enorme rammarico. Che non abbiano potuto seguire da vicino questo straordinario campionato. Quei cinque minuti finali contro la Triestina, in vantaggio (1-0) al “Curi”, che sta per vincere e, all’improvviso, i grifoni, con Murano e Minesso, riescono a ribaltare punteggio, e dramma incombente, sono un cartoccio di emozioni che difficilmente si possono cancellare. Peccato. Peccato che i biancorossi non li abbiano potuto vivere con i propri tifosi sugli spalti.     

                            Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com –Agenzia Stampa Italia

 

 

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