Scambiano il Quirinale per il condominio, ma s'intravede qualche lampo di pragmatismo
Lo
spettacolo che danno i grandi (si capisce che l’aggettivo è riferito solo al
numero) elettori è deprimente. Ma non perché ci stanno mettendo molto tempo.
Prima, sulla strada del Colle, c’era, a creare un improbabile ostacolo
grottesco, Silvio Berlusconi. E poi siamo appena alla quinta votazione. Ci vuole
tempo e quello è parzialmente comprensibile, seppure ci sono questioni urgenti,
anzi urgentissime che andrebbero risolte prima possibile. Quindi non sono solo i
tempi, sono soprattutto i modi. Quello che imbarazza, indigna, sconcerta
l’opinione pubblica è la leggerezza, la superficialità, l’insolenza con la
quale i politici si presentano davanti alle telecamere e danno i nomi come si
trattasse di scegliere l’amministratore del condominio. Pure quelle schede con
i nomi di persone che non c’entrano nulla danno la dimostrazione del livello della
scarsissima qualità della classe politica che abbiamo. C’è, poi, l’atteggiamento
intollerabile del giochino a quale schieramento spetti, per primo, proporre il
nome: il centrodestra o il centrosinistra? Un dilemma più che improprio, idiota
e demenziale. Se nessuno degli schieramenti ha la maggioranza, è chiaro che
questo, peraltro del tutto ipotetico, diritto non ce l’ha nessuno. Se poi da
trent’anni c’è sempre stato un presidente indicato dalla sinistra vuol dire che
la destra non ha mai avuto i voti per eleggere un proprio candidato. Per le
persone normali sarebbe tutto ovvio e scontato. E invece sono capaci di farne
un problema. Richiamarlo, poi, in ogni
discussione è una inutile, banale questione di lana caprina. Peraltro, appena
eletto, il capo dello Stato “rappresenta l’unità nazionale”, come dice la
Costituzione. Eppure la questione è sul tavolo, la più gettonata, da mesi. E
nessuno dei giornalisti fa loro notare che sono pretese insensate e assurde.
Che tutti hanno il diritto di proporre un candidato, possibilmente una
personalità di alto profilo. E qui sta il problema. Vediamo di cercare di capire, a metà giornata
di giovedì, a che punto stanno i “lavori in corso”. Le ultime, e i candidati
ancora in campo. Sembra eliminata, o almeno accantonata, la candidatura di
Pier Ferdinando Casini. A parte alcuni veti, forse qualcuno ha anche capito che
se chiama lui, dal Quirinale, qualche capo di Stato, in Europa o nel resto del
mondo, c’è il rischio che gli passino l’usciere. Pare accantonata anche la
candidatura di Maria Elisabetta Alberti Casellati. Non si sa come sia diventata
la seconda carica dello Stato e mi pare che sia già stata miracolata, e con i
miracoli non bisogna esagerare. Entra in lizza, invece, nelle ultime ore, il
professore, costituzionalista, Sabino Cassese. Ha, certo, le carte in regola, a
parte che sul Corriere della Sera ha
esagerato nelle critiche, a volte strampalate e feroci, nei confronti di
Giuseppe Conte, quando era al governo. E, quindi, molti dei 5 Stelle, Conte per
primo, potrebbero non considerarlo meritevole della loro fiducia. Qualche
giornalista, poi, ha commentato la notizia dicendo che è anziano, perché ha 86
anni. E non ha capito - il giornalista, s’intende - che l’età, invece,
rappresenta uno dei punti di forza di Cassese. Al Quirinale è difficile possa
rimanere sette anni. Per la politica, avida di posti, sicuramente un dato
positivo. Non solo, con lui, solo con
lui, forse, Mario Draghi, potrebbe rimanere ancora un anno a palazzo Chigi.
Altrimenti, come sostengo da mesi, rinuncia al governo e torna a casa, a Città
della Pieve. Un’altra combinazione, dico
combinazione perché la nomina al Quirinale è strettamente legata alla sorte del
governo e della maggioranza che lo sostiene, e che tutti vorrebbero rimanesse
fino alla fine della legislatura, nel marzo 2023. Un altro tandem, dicevo, caldeggiato da
Giorgia Meloni, che in questa circostanza ha mostrato di avere più idee dei
voti di cui può disporre, potrebbe essere Mario Draghi (o Sabino Cassese) al
Quirinale e a palazzo Chigi, a guidare il nuovo governo, Elisabetta Belloni,
diplomatico di grosso spessore. Si eviterebbero rivoluzioni e si potrebbe cominciare
la campagna elettorale senza traumi e scossoni. Chissà? Questo ora; ma domani è
un altro giorno.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
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