I voti ai leader che escono ammaccati (come la Costituzione) dalle macerie dopo sei giorni di imbarazzante show politico - mediatico

 

Il primo rilievo che mi pare opportuno sollevare è che, nella rielezione di Sergio Mattarella come capo dello Stato, ci sia stato, da parte dei grandi elettori, uno sfregio alla Costituzione. L’art. 85 recita: “Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni”. Non s’intende, non credo si possa intendere, sette anni ogni volta che avviene l’elezione, significa, sette anni, e basta. Il fatto che questo strappo sia stato già fatto nel 2013 con la rielezione di Giorgio Napolitano non è un’attenuante, semmai un’aggravante, perché si tratta di ripetere un errore, anche grave, che è già stato commesso. Qualche costituzionalista, dopo aver forgiato le sue conoscenze alle serali, ha cercato di spiegare che la Costituzione, però, non lo vieta. Ma la norma, in sé, non ha bisogno di aggiungere uno specifico divieto, è sottointeso, s’intende, altrimenti si potrebbe fare, quasi sempre, tutto. L’art. 56, per esempio, dice che il “numero dei deputati è di quattrocento”, non è necessario che ci sia scritto che è vietato che siano più (o meno) di quattrocento, è tutto inteso, o no? Mi sembra chiarissimo. Sullo sfondo di questo sgarbo costituzionale, ci sono, sepolti sotto le macerie da loro stessi provocate, i leader dei partiti. Tra i peggiori, non c’è alcun dubbio, c’è Matteo Salvini, segretario della Lega, delegato del centrodestra e lo stratega nelle trattative. Ha tirato in ballo, senza speranza, come se si trattasse della nomina del presidente della bocciofila, con una superficialità e spregiudicatezza senza precedenti, una infinità di candidati. Se i numeri per eleggere il presidente della Repubblica non consentivano, né al centrodestra né al centrosinistra, di votare il proprio candidato era, non solo inutile, anche demenziale inventarsi diritti surreali. Era, quindi, necessario concordare prima la candidatura, senza presentarla già pronta per la votazione.  Così ha fatto saltare tutti i tentativi di trovare un accordo, bruciando candidature che, invece, potevano essere prese in seria considerazione. Non solo, ha sfasciato pure la tenuta del centrodestra. Ha l’attenuante che non è facile barcamenarsi tra Berlusconi, Conte, Renzi e Letta. E, poi, non sapendo che fare, per salvare capre e cavoli, ha gettato la palla al Quirinale, voto 3. Segue, per altrettanti guai, Giuseppe Conte. L’impressione è che si consideri il generale dei 5 Stelle, ma assomiglia sempre più ad un appuntato, peraltro senza esercito. Il generale, se c’è, è Luigi Di Maio.  Non si è capito che cosa voleva fare, dichiarazioni sempre generiche, a parte qualche “no”, il vuoto assoluto. L’aggravante è che i 5 Stelle dovevano essere, per i voti che avevano dato loro gli elettori, i protagonisti. Di fatto hanno solo guardato. Voto 3. Il segretario del Pd, Enrico Letta ha “lavorato” molto dietro le quinte, si sottraeva ai giornalisti per il lavoro da fare. Anche lui nel pallone. Nella conferenza stampa finale ha detto che lui aveva tanti nomi su cui puntare, di altissimo profilo, ma non li ha detti. Incredibile, proprio così. Allora, immagino, che li dirà quando, nel sua palazzo, ci sarà da eleggere l’amministratore del condominio. Voto 4. Non so c’è stato, invece, Roberto Speranza, ministro e segretario di Leu. Ha aspettato sotto l’albero che la pera cadesse da sola, sempre nell’ombra, voto 3.  Matteo Renzi, il condottiero di Italia viva, il partito dei profughi, è stato, stranamente, spesso, in panchina, a guardare, poi, quando è stato chiamato in campo, però, non è stato un fenomeno, in grado di conferire concretezza alle fumose trattative in corso, voto 4. Discorso più articolato per Forza Italia che, alla fine, penso abbia avuto più (ir)responsabilità di tutti gli altri partiti. Silvio Berlusconi ha cominciato con la sua candidatura, che ha obbligato tutti i suoi sodali (giornalisti compresi) a percorrere fantasiosi sentieri logici per cercare di spiegare e far accettare una cosa che non si poteva capire e nemmeno approvare, per un’infinità di motivi. Non solo per il fatto che Berlusconi è un pregiudicato, ma anche perché, in passato, ha condizionato e sottomesso organi dello Stato ai suoi personalissimi interessi personali. Questa surreale candidatura, peraltro, ha in qualche modo bloccato, o, comunque, pesantemente rallentato, per non dire ingarbugliato, le trattative un po’ di tutti gli schieramenti, soprattutto, ovviamente, del centrodestra. Poi, ammalatosi, ha continuato a comandare, dal letto d’ospedale, con il suo vice, il fedelissimo Antonio Tajani. Sono arrivati imposizione infelici e capricciose, tra queste c’è il sospetto che ci sia la sua diabolica manina nella pessima figura fatta fare a Maria Elisabetta Casellati. E c’è stato il suo irremovibile “no” a molte candidature, una su tutte, quella di Mario Draghi al Colle. A questo proposito sarebbe assai interessante sapere cosa sia andato a dire, giovedì, Tajani a Draghi, a palazzo Chigi. Che genere, e tipo di messaggio, ha portato da parte di Berlusconi. Questo è un passaggio cruciale di tutta l’elezione, perché induce a pensare a qualche richiesta indecente da parte dell’ex cavaliere. È parsa, infine, ingenerosa l’ultima mossa, il tentativo di addossare tutta la colpa del fallimento a Salvini, voto 2. Infine, Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia. È quella che ha fatto meno peggio, nel senso che è stata, almeno, sempre coerente, ma anche lei ha commesso molti errori. È da due anni che invoca, inutilmente, elezioni anticipate, senza rendersi conto che lo scioglimento anticipato delle Camere si fa solo se non c’è una maggioranza, e rispettando ciò che dice la Costituzione. E non quando lo chiede un partito, altrimenti le elezioni si dovrebbero fare ogni sei mesi. Questa ossessione, peraltro del tutto ingiustificata, ne appanna, da anni, l’azione politica, sua e del partito. La seconda cosa è che, in queste trattative elettorali, non si è saputa destreggiare bene in mezzo al groviglio tattico sia all’interno del centrodestra che nei rapporti, quasi assenti, con le altre forze politiche; avrebbe dovuto e potuto fare sicuramente di più, voto 5.   

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia               

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