Enorme confusione e argomentazioni imbarazzanti, per il Colle, nei palazzi della politica

 

È un formicaio in tumulto il mondo della politica dopo la rinuncia di Silvio Berlusconi da autocandidato al Quirinale. Qualche giornale (di sua proprietà) con sprezzo del ridicolo e massima contraddizione ne esalta il “gesto di responsabilità” dopo aver detto che non aveva trovato i voti. Chiusa questa patetica vicenda ne cominciano subito altre, rese più complicate dal contributo, alla confusione, che sono chiamati a dare i costituzionalisti pret - à - porter che affollano senza ritegno, con tesi e argomentazioni imbarazzanti, le pagine dei giornali e gli studi televisivi. Io non sono tifoso di nessuno, vorrei solo che venisse rispettata, nella scelta del successore di Sergio Mattarella, la Costituzione. Cosa, peraltro, che dovrebbe essere perfino banale e inutile ricordare.  E, invece, si sente e si vede di tutto. Proviamo a chiarire qualche punto fermo. In dirittura di arrivo c’è, ancora, Mario Draghi. Sul presidente del Consiglio si dice un po’ di tutto.  Un delirio di opinioni. Molte ovvie, tante altre assurde. Che sia un tecnico è fuor di dubbio, ma è altrettanto vero che sia, nel contempo, politico. Essere una cosa o l’altra, o entrambe le cose, non dipende dal casato, dipende dal ruolo che svolge e dalle decisioni che uno, in quel ruolo, è chiamato a prendere. La stragrande maggioranza delle decisioni che ha preso Mario Draghi, sono da politico, non solo in questo anno in cui ha guidato il governo, ma anche prima, soprattutto quando era presidente della Bce (Banca centrale europea) erano determinazioni di politica monetaria, la quale fa parte, influenzandola pesantemente, della politica economica, che è il cuore pulsante della vita di ogni Stato. Come si fa a dire che Draghi non è un politico, e lo sono, invece, Luigi Di Maio che vendeva lattine di Coca Cola allo stadio, o Teresa Bellanova che raccoglieva pomodori? O tantissimi altri che, prima di arrivare in Parlamento, non sapevano nemmeno come sbarcare il lunario? Si può solo dire che, a differenza di Di Maio e Bellanova, lui non è stato eletto, certo, questo è vero. E che può essere, e forse lo è, espressione di poteri forti, certo, anche questo è possibile, altrimenti li avrebbero chiamati poteri deboli. Un’altra clamorosa sciocchezza è che siccome non è mai successo che il presidente del Consiglio sia passato, direttamente, da palazzo Chigi al Quirinale, questo, ora, sia un problema costituzionale. Sarebbe incostituzionale, invece, il contrario. Sarebbe un’assurdità se venisse tolto il diritto solo a lui. È incredibile che questi peracottari dicano così tante sciocchezze, e, quel che è più grave, che ci sia qualcuno che le prenda per buone.  La procedura è scontata ed è anche abbastanza semplice. In caso di elezione al Colle, Draghi rassegnerà le dimissioni da presidente del Consiglio nelle mani di Mattarella e lascerà l’incarico di guidare il governo, mancando il vice presidente del Consiglio, a Renato Brunetta, ministro più anziano, per gli affari correnti. Poi, da capo dello Stato, comincerà le consultazioni per formare il nuovo governo. Se troverà una maggioranza si proseguirà fino a marzo 2023, termine della legislatura, altrimenti si andrà a votare. Ma siccome nessuno vuole perdere un anno di favoloso stipendio e tante altre cose, una maggioranza rabberciata, rissosa, eterogenea, frammentata si troverà comunque, sicuramente. Altra questione. Se Draghi andrà al Colle chi guiderà il governo? Sarà un altro tecnico o un politico? È molto probabile che sarà un tecnico, non appartenente a nessuna forza politica, per una ragione semplicissima. Siccome subito dopo l’elezione del capo dello Stato comincerà la campagna elettorale, in vista delle elezioni del prossimo anno, ci saranno veti incrociati per evitare che il rappresentante di uno schieramento guidi il governo con la possibilità di trarre vantaggi elettorali. Meglio qualcuno (o qualcuna) senza partito, con il sostegno di un’ampia maggioranza, come adesso. Infine, visto che anche questo è stato ripetutamente ipotizzato in queste ultime ore, Mario Draghi non rimarrà sicuramente a palazzo Chigi. Rimarrebbe solo un anno, tutti i giorni sotto scacco, per essere, poi, messo alla porta appena le elezioni. Impossibile. Vale quello che ho scritto già qualche mese fa: o al Quirinale o, a casa, a Città della Pieve. Invece di inventarsi problemi, che non esistono, ci vorrebbe il coraggio di dire correttamente come stanno le cose. Mario Draghi al Quirinale sarebbe troppo indipendente dai partiti e dalle mezzecalzette, meglio qualcuno più condizionabile. Queste, solo queste, sono le reali preoccupazioni dei grandi elettori che ne condizioneranno la scelta.

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

 

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