Le ragioni, e i torti, degli studenti in piazza

 

Gli studenti hanno sempre avuto una straordinaria sensibilità nel trovare qualche ragione per mobilitarsi, per scendere in piazza, a volte con motivazioni serie e fondate, in altre occasioni solo per saltare qualche ora di lezione e qualche interrogazione. Ai miei tempi, a Reggio Calabria, dove studiavo, abbiamo fatto molte manifestazioni, con altrettante partite di pallone, per il capoluogo di Regione, assegnato a Catanzaro. La voglia dei giovani di salire al proscenio, e diventare prima possibile protagonisti, è stata sempre travolgente e incontenibile. È stato sempre così e così sarà sempre, non c’è nulla di male, anzi sarebbe peggio l’apatia e il disinteresse. Questa volta, però, ho l’impressione che ci siano, da quello che ho sentito, cioè dalle “richieste” dei leader dei movimenti studenteschi, che le ragioni siano più gravi e più profonde. La prima contestazione è l’alternanza scuola lavoro, o stage. Penso di essere stato un pioniere, negli anni ‘70, da docente di Ragioneria, nel pensare a questo genere di esperienza da fare sul campo, cioè in azienda. Ricordo che il preside, un mezzo analfabeta, arrogante e prepotente, non voleva, mi diceva che i ragazzi perdevano sei giorni di lezione. Ma i colleghi del consiglio di classe erano con me, e si faceva lo stesso, l’unica classe su un centinaio. Con risultati assai incoraggianti. Solo perché era sempre organizzata. Con ampio anticipo sceglievo le aziende e il percorso formativo, in genere si trattava di esaminare le complesse problematiche nella redazione del bilancio d’esercizio, naturalmente già ampiamente studiato, prima, a scuola, sotto l’aspetto civilistico e fiscale. Alcuni studenti sono stati poi assunti, appena diplomati, da quelle aziende in cui avevano fatto lo stage. Quindi, dovrei essere d’accordo che, ora, sia un’esperienza resa obbligatoria. E, invece, sono contrario, e hanno ragione gli studenti, al di là, naturalmente, delle vicende in cui hanno perso la vita i due alunni. L’alternanza scuola lavoro per tutti gli indirizzi è una cosa inutile, di presunta modernità, che non ha alcun senso. Fa veramente perdere ore di lezione. Mi raccontava, mio nipote, quando frequentava il liceo classico a Perugia, la sua esperienza, allucinante, completamente negativa. Aiutava a fare le fotocopie. Questo genere di pratica, che comunque dovrebbe essere facoltativa, va fatta solo quando è adeguatamente preparata e con obiettivi ben precisi e definiti, e solo per gli studenti degli istituti tecnici e professionali. Ma la cosa che più mi ha stupito è stata la reazione al richiamo della professoressa, con una frase certamente infelice, alla ragazza che stava, con la pancia scoperta, a scuola. Se la professoressa ha certamente sbagliato la forma, la reazione, con le proteste, mi è sembrata altrettanto sbagliata e comunque eccesiva per un episodio del genere. Perché vuol dire che, al di là della causa scatenante, ci siano ragioni più gravi e più profonde, un malessere preoccupante, nel delicato rapporto alunni insegnanti, come se fosse logorato, conflittuale. Gli alunni contro gli insegnanti è una situazione gravissima solo pensarla, inconcepibile, vuol dire che sono venute meno - e spero di sbagliarmi - la fiducia e la stima. Come due parti avverse, e pure, assurdamente, in conflitto. Gli insegnati e gli alunni sono, devono essere, la stessa cosa, una famiglia, devono tendere, ovviamente con competenze e ruoli diversi, allo stesso nobile, fondamentale obiettivo per i singoli e la collettività, che è quello di far crescere le nuove generazioni dal punto di vista umano e sociale, prima ancora che culturale, e tutti devono remare nella stessa direzione. Mettere questi principi in discussione, come mi sembra si stia facendo in questi giorni, con i giovani in piazza a chiedere e sbandierare i propri diritti, mi sembra una cosa del tutto non solo fuori luogo, ma gravissima.  Non perché gli studenti non abbiano diritti, certo che ce l’hanno, ma anche molti doveri, che, però, non sono divisi e contrapposti, ma, in questo caso, complementari. Così come ce l’hanno gli insegnanti. Vederli su sentieri opposti e guardarsi in cagnesco è una situazione che deve allarmare ed esige interventi immediati perché si tratta di una questione assai importante per essere banalmente trascurata. Per quanto riguarda, infine, le preoccupazioni, da parte degli studenti, per le prove scritte degli esami di maturità, mi pare un problema inventato, un non problema. Basta, a tranquillizzare tutti, leggere le percentuali di “maturi” negli ultimi vent’anni. Con una o due prove scritte, c’è stato (quasi) sempre, e ci sarà anche quest’anno, garantito, il bonus maturità. Con o senza Covid.     

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

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