L'unica cosa certa sul Quirinale: andrà chi promette di non sciogliere le Camere

 

La questione Quirinale non interessa a nessuno, solo al mondo politico che già da qualche settimana è in fibrillazione. La ragione è che questa volta, molto più di altre, l’elezione del capo dello Stato ha pesanti, diciamo pure eccezionali, ripercussioni sul governo, sui partiti, sui singoli parlamentari. È per questo che le mezzecalzette, coadiuvate dagli assoldati sodali, ne parlano con largo anticipo, con tanta frequenza e dicendo tante sciocchezze. Mario Draghi, strattonato dalla giacca, apparentemente, è il candidato “ideale” di tutti, ma, in realtà, non è esattamente proprio così. Dipende. Intanto dalla sua volontà, e ho l’impressione che non ci tenga più di tanto ad essere il successore di Sergio Mattarella, nel febbraio 2022, quando scadrà il mandato. La mia convinzione nasce dal fatto che da qualche tempo Mario Draghi tratti un po’ tutti, dai partiti ai sindacati, con estrema durezza, quasi con arroganza. Durante l’incontro a Palazzo Chigi di qualche giorno fa con i sindacati, il presidente del Consiglio, a un certo punto, ha detto: “Arrivederci ho un altro impegno”. E durante il consiglio dei ministri dice spesso: “Andiamo avanti”, quando ascolta, con evidente fastidio, i bla bla della truppa che lo circonda, lo adula e a volte pure lo applaude. Sembrano modi di fare, segni, messaggi, atteggiamenti di chi non cerca a tutti i costi il consenso, anzi lo disdegna adesso e in futuro. Questi comportamenti, però, negli ultimi giorni sembrano drasticamente cambiati, mi riferisco in particolare al fatto che quando si tratta di decidere su questioni spinose che in qualche modo possano procurare dissidi e polemiche, e far calare i consensi, usa il rinvio, il rinvio a tempi migliori. L’ultima volta è successo giovedì con il decreto concorrenza, insomma va a zig zag. Perché per il Quirinale, appunto, ci vorranno i consensi e i voti delle forze politiche. Che, dal canto loro, come dicevo prima, sono in trepidazione, e questo atteggiamento criptico e riservato di Draghi li rende ancora più preoccupati e nervosi. Preoccupati lo sono un po’ tutti, soprattutto di una cosa: che in primavera, dopo la elezione del nuovo capo dello Stato, si vada alle elezioni, anticipando di un anno la fine della legislatura. D’altronde, a volere veramente le urne anticipate, sono solo Fratelli d’Italia che, guardando i sondaggi attuali che danno il partito intorno al 20 %, pensano di poter trarre, rispetto all’attuale Parlamento, in cui sono rappresentati solo al 4%, notevoli vantaggi dall’anticipo delle elezioni. Gli altri, tutti gli altri, voterebbero il diavolo al Quirinale, pur di rimanere incollati sui preziosi scranni parlamentari fino a marzo 2023, alla scadenza naturale della legislatura. Sono in tanti, infatti, che prima di arrivare in Parlamento avevano zero redditi, l’anno successivo quasi centomila euro. Chi è quel pazzo che rinuncia a centomila euro e al vitalizio? Nessuno.  E, allora, l’unica cosa certa è che al Quirinale ci andrà solo chi promette di non sciogliere anticipatamente le Camere. Se non Draghi chi potrebbe andare al Quirinale. Si comincia a fare qualche nome. Dei quattro, ipotizzati oggi dal Corriere della Sera, ne conosco due personalmente, ma la mia preferenza, che, naturalmente, non conta niente, va al giudice costituzionale, professore Giuliano Amato, non solo perché è un fine giurista ma anche perché quando sostenni gli esami di diritto costituzionale mi fece anche i complimenti. Allora, se non dovesse essere Draghi il successore di Mattarella, l’ex presidente della Bce rimarrebbe a Palazzo Chigi? Questo potrebbe essere molto probabile, ma non per il consenso, solo per necessità. Quando il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti dice che “Draghi potrebbe guidare il convoglio anche da fuori”, dice una sciocchezza costituzionale ma un’atroce verità. Intende dire che il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, con più di duecento miliardi di euro a disposizione del nostro Paese, senza una guida competente e forte rischia di fallire. Di questo sono convinti in molti. Immagino, però, che qualcuno degli amici lettori non sia del tutto d’accordo, perché ritengono Draghi l’espressione delle lobby e dei poteri forti. Non so, sarà pure così, ma è l’unico che - se opportuno e necessario -  sa dire di no a partiti e sindacati, e alle mezzecalzette che vanno a palazzo per mendicare risorse e poteri. Ed è l’unico che in Europa, nel rappresentare l’Italia, abbia voce in capitolo. Così è (se vi pare).

 Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

 

Commenti

  1. Puntuale e spietata analisi che condivido appieno fatta eccezione per il "Dott. Sottile" al quale preferisco Ferdinando Imposimato.

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