La vergogna di uno Stato che non cerca gli evasori e fa pagare, molto, anche ai contribuenti morti

 

 “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Chi, in questi giorni, sta armeggiando con la dichiarazione dei redditi, rischiando il naufragio in mezzo a 117 pagine di istruzioni, pensa che questo sia una norma di qualche Stato straniero, e, invece, si tratta dell’art. 53 della nostra Costituzione, ignorata, tradita, di cui si fa scempio sistematicamente e che, spesso, viene richiamata, del tutto a sproposito, dai nostri politici mezzecalzette, improvvisati e patetici azzeccagarbugli. Il primo tradimento sta in quel “tutti” che, per chi paga regolarmente i tributi, è un’insopportabile, beffarda provocazione, sapendo che ci sono migliaia, probabilmente milioni, di italiani che sfuggono, con estrema, sorprendente, facilità al fisco, con la palese, evidentissima, complicità dello Stato, per un ammontare, calcolato, ogni anno, in 120 miliardi di euro di evasione, più di metà del fondo di Next generation Eu. Invece di intervenire su queste vergogne, c’è qualche politico che pensa a nuove imposte. Una classe politica così scarsa, e inadeguata, l’Italia, non ce l’ha mai avuta. Chi fa il suo dovere di cittadino onesto scopre tante cose che lo fanno infuriare. La prima è l’ammontare delle imposte che si pagano, in maniera così esagerata, per tutto e su tutto, che induce a considerare lo Stato come un rapinatore spietato e violento, che vessa, umilia e mortifica i contribuenti. Tale è, per esempio, quando si fa la dichiarazione dei redditi, l’obbligo del pagamento degli acconti Irpef e le addizionali regionali e comunali che avviene con una impostazione che appare illegittima e iniqua. L’obbligo di pagare i tributi, l’art. 53 della Costituzione, sopra citato, lo stabilisce sulla “capacità contributiva” del contribuente, la quale si determina, ovviamente, con il cumulo di tutti i redditi riscossi; ma a giugno, quando bisogna fare i calcoli e pagare gli acconti, i redditi, per ovvie situazioni temporali, non sono stati tutti riscossi né, peraltro, si è certi di poterli riscuotere. Ciò significa, quindi, che si è costretti a calcolare gli acconti non sulla capacità contributiva reale, effettiva, come, presumo, intenda la Costituzione, ma su una capacità contributiva, presunta, pensata, ipotizzata, e senza possibilità di errori, perché, altrimenti, si pagano sanzioni e interessi. Succede, poi, che in caso di morte del contribuente, gli acconti, costui, li abbia pagati su redditi che non potrà riscuotere, inesistenti, e su una capacità contributiva nulla. Sono le imposte pagate dai morti.  Perché lo Stato, le Regioni e i Comuni, che hanno incassato dai defunti, con gli acconti, milioni di euro non hanno lo zelo di restituirli agli eredi. E anche se lo facessero, rimarrebbe, lo stesso, evidente, l’iniquità del tributo pagato prima su una ricchezza futura. E, allora, viene in mente l’appropriazione indebita, e l’art. 646 del Codice penale, che recita testualmente: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 1.000 a 3.000 euro”. Per commettere il reato, però, manca la “condotta attiva”, vale a dire la manifesta volontà da parte dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, di non voler restituire il denaro incassato, essendoci, invece, un comportamento sostanzialmente passivo. Tuttavia, al di là se si commetta o meno reato, rimane il fatto che si tratti, comunque, seppure con una sospetta, riprovevole, odiosa sonnolenza, di una grave appropriazione indebita, nei confronti di cittadini che non possono, per ovvie ragioni, né chiedere la restituzione né presentare la querela. In palese contrasto con la Costituzione, c’è dell’altro, ed è la situazione in cui si trova chi ha la sfortuna - ormai non si può dire che così - di avere una seconda abitazione, considerata dallo Stato e dagli enti locali, voraci, come una fonte cui attingere senza ritegno, su cui si ipotizzano redditi, anche questi, del tutto immaginari, e sui quali si calcola e si paga anche l’Imu, l’imposta sugli immobili, un’imposta proporzionale, di fatto una patrimoniale. Sarebbe interessante sapere come conciliano, i costituzionalisti da strapazzo che invadono gli studi televisivi e i fogli dei giornali, questa imposta con il solito, sopra riportato, articolo 53, che dice testualmente “il sistema tributario è informato a sistemi di progressività”. Infatti, questa imposta (e non è la sola) è proporzionale. Lo Stato, cosiddetto di diritto, è questo. Praticamente una pena.  

            Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

 

 

Commenti