La divisione delle carriere dei magistrati e i fatti che dimostrano che è una riforma "inutilmente ideologica"
Qualche mese fa avevo
cercato di spiegare perché la divisione delle carriere dei magistrati, tra
quelli inquirenti (i Pm) e quelli giudicanti (i giudici), la riforma che
qualche giorno fa il governo ha approvato e mandato alle Camere per il voto,
fosse del tutto inutile. L’avevo fatto prendendo ad esempio le sentenze di
primo grado di un processo con 338 imputati, il famoso “Rinascita Scott”. È successo
che in molti casi i giudici hanno assolto gli imputati, addirittura 110,
nonostante le richieste di condanna, a volte anche pesante (fino a 20 anni)
della pubblica accusa. È la prova che non è vero, come sostengono i fautori
della riforma, che i giudici siano sempre condizionati dai colleghi Pm e, nelle
sentenze, si facciano condizionare, e decidono, come ha chiesto l’accusa. Si è
visto anche che ci sono state alcune richieste di assoluzione da parte degli
stessi Pm, a dimostrazione che la pubblica accusa, nel fare le indagini, cerca
di trovare le prove, se però non le trova, o comunque non sono solide e convincenti,
non deve chiedere sempre e comunque la condanna, deve, invece, ha il dovere e
l’obbligo di chiedere l’assoluzione, perché il Pm ha, come i colleghi giudici, un
unico e solo obiettivo: applicare le leggi per fare giustizia. Se questo,
purtroppo, qualche volta non avviene non si tratta perché i Pm e i giudici
stanno nello stesso Ordine, ma perché non sono stati capaci, o, peggio, si sono
fatti condizionare pesantemente da altri fattori che nulla hanno a che vedere
con la giustizia, ma qui si entra in un altro campo, che sa di patologico. E
questo, ovviamente, è di inaudita gravità. La riforma prevede due Csm, con la
scelta dei membri con il sorteggio. Ecco, il sorteggio, piuttosto che i due
Csm, era quello che mi sarei aspettato si facesse subito, dopo quello che ci ha
raccontato l’ex magistrato “pentito” Luca Palamara, sulla influenza delle correnti
nelle vicende tormentate della magistratura. Sulla riforma è stato riportato,
da La Stampa, il giudizio dell’avvocato
Franco Coppi, che ha definito la divisione delle carriere “inutilmente
ideologica” e poi ha aggiunto “mai avuto l’impressione che un giudice abbia
pronunciato una sentenza solo perché intendeva rispettare il collega
dell’accusa e perché appartenenti allo stesso ordine. Il problema vero è che un
magistrato sia intellettualmente onesto”. La questione principale sta proprio tutta
qui. Le vaghe e fumose parole degli azzeccagarbugli incenerite dalle sagge considerazioni
di un principe del foro.
Fortunato
Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia
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