Se la presidente Giorgia Meloni facesse un sopralluogo per il ponte sullo Stretto di Messina
Lo
so, senza bisogno di consiglieri, che è un sogno che difficilmente si potrà
realizzare, ma mi avventuro lo stesso. Anche perché più che un auspicio e una
speranza è una disperata richiesta di aiuto. Di un cittadino qualsiasi che però
è sicuro che, a pensarla allo stesso modo, siano in tanti. Da giorni, anzi da
mesi, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia e
delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, stanno cercando di far quadrare i conti per
una legge di bilancio senza troppi sforamenti, considerando che il debito
pubblico sta galoppando verso i 2.900.000.000.000 (duemilanovecento miliardi)
di euro, il che comporta, come prima pesantissima conseguenza, più di cento
miliardi di interessi da pagare ogni anno. L’11 novembre le agenzie di rating,
Fitch Investors Service e sette giorni dopo Moody’s (Baa3, outlook positivo) ci
hanno dato, con compassionevole magnanimità, uno zuccherino di incoraggiamento,
ma rimane il fatto che siamo, come paese Italia, poco sopra alla cosiddetta
categoria junk, ossia che i nostri titoli di Stato sono da considerare poco più
che spazzatura. In una situazione di questo genere, qualsiasi persona di buon
senso, e con un mimino di responsabilità, farebbe di tutto per evitare sprechi,
limitando e centellinando le spese alle azioni indispensabili e più importanti.
Invece, nonostante l’impegno, che mi sembra serio e saggio, di Meloni e
Giorgetti, si stanno verificando situazioni gravi e incredibili, a di là di
ogni immaginazione. Tralasciamo i 120 milioni di euro distribuiti a pioggia per
le “marchette” dei parlamentari, ci sono, che colpiscono come un pugno in un
occhio, e lasciano allibiti, le risorse stanziate per il ponte sullo Stretto di
Messina. Oltre alla posizione nettamente contraria di molte associazioni
ambientaliste, come si è visto nella affollata manifestazione che si è tenuta,
nel silenzio quasi totale di giornali e televisioni, qualche giorno fa a
Messina, ci sono una serie di ragioni per cui le priorità sono certamente altre,
sia per la Calabria che per la Sicilia. Al di là del fatto che ci sarà un danno
enorme all’ambiente e al paesaggio, c’è da considerare, e non è affatto un
dettaglio, che si tratta di una zona ad altissimo rischio sismico, con i
geologi che sostengono che la Sicilia si allontana lentamente dal
continente. Accantonando tutto questo,
vorremmo - ed è questa la richiesta di aiuto - che prima di decidere se continuare
a dilapidare miliardi, come avviene da più di cinquant’anni, la presidente Giorgia
Meloni, da sola, senza bisogno di esperti e consulenti, tanto le cose sono
abbastanza evidenti, partisse da Salerno e senza fermarsi ad Eboli, come
Cristo, proseguisse il suo viaggio, con il Frecciarossa, per Reggio Calabria.
Si renderebbe subito conto che la velocità non solo non è alta, ma è piuttosto bassa,
perché, ovviamente, non dipende dal treno, ma dalla linea ferrata obsoleta e il
treno, qualsiasi treno, più di una certa velocità non può andare. Lei
partirebbe (questo l’orario fornito da Trenitalia per il convoglio più veloce e
anche più costoso) alle ore 15,07 da Salerno con arrivo a Reggio Calabria alle
19,01, quasi 4 ore per coprire i 295 chilometri di distanza. Da Roma a Milano, lo
stesso Frecciarossa, per coprire i 478 chilometri, ci impiega meno di 3 ore.
Fate voi i conti. Senza arrivare a Reggio Calabria, la Meloni si potrebbe
fermare a Villa San Giovanni e osservare la frequenza dei traghetti per
Messina, sia privati, sia delle ferrovie dello Stato; tempo, cronometrato, di
attraversamento, per le auto 25 minuti, per i treni, causa manovre di imbarco e
sbarco, 45 minuti. Tempo di attesa, se non ci sono intoppi imprevisti, zero. La
Meloni, dopo aver ammirato il paesaggio mozzafiato potrebbe cominciare con il
chiedersi, da massimo responsabile politico, cosa peraltro doverosa trattandosi
di denaro pubblico, quanti siano i costi e quanti i benefici. Sarebbe sconsigliabile,
per non essere presa dallo sconforto, invitare la Meloni a proseguire il
viaggio in treno per Palermo o per Siracusa, rimarrebbe sbalordita. Rimanendo in
Calabria si renderebbe subito conto delle disastrose condizioni delle strade,
nessuna a norma, piene di buche, senza strisce per terra, guardrail e
catarifrangenti. Poi potrebbe visitare gli ospedali del reggino e del vibonese
per vedere le disastrate condizioni in cui versano, nonostante le capacità
professionali e gli sforzi del personale sanitario, e dare uno sguardo fugace
alle liste d’attesa. Mi fermo qui, anche se non posso non ricordare che molti comuni
non hanno ancora i depuratori e fanno fatica a tenere pulito un mare
meraviglioso. Dopo questo viaggio non credo che la presidente Meloni potrebbe
accettare a cuor leggero che si stanzino, come sta cercando di fare Matteo
Salvini, l’alleato più scomodo e dannoso che poteva trovare, 11,6 miliardi
(solo per cominciare), peraltro spostando 2,3 miliardi dal fondo di sviluppo e
coesione, di cui 1,6 miliardi sottratti a Sicilia e Calabria. Due Regioni, con
tanti guai e ben altre priorità, chiamate ad essere socie della società per la
costruzione del ponte, senza che i rispettivi presidenti, Renato Schifani (a
parte la finta protesta) e Roberto Occhiuto battessero ciglio; anzi Occhiuto,
in una intervista delirante al Corriere
della Sera ha detto che il ponte serve ai siciliani per “superare la
condizione di insularità”. Affrontano il ridicolo per cercare di dare un senso
e una giustificazione ad una follia.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
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