L'anno tormentato di Giorgia Meloni, sempre al fronte, interno ed esterno
È passato quasi un anno da quando Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi per guidare il governo. È stata la prima volta di una donna, peraltro erede di quello che fu il Movimento Sociale Italiano, il partito di estrema destra del Dopoguerra, la cui fiamma, arde ancora nel logo. Una novità assoluta, dunque. Ma la scelta non è venuta perché è tornato il fascismo, come ha pensato di dire qualche sprovveduto, piuttosto, e più semplicemente, per il fatto che, visti i ripetuti ed imbarazzanti fallimenti delle coalizioni politiche precedenti, Giorgia Meloni, con il suo Fratelli d’Italia, era rimasta l’ultima ciambella alla quale si è attaccata la maggioranza dei votanti il 25 settembre dello scorso anno. E, adesso, nel tentativo di fare un primo, sommario, provvisorio bilancio di quello che è successo ci si rende conto che è stata un’esperienza con notevoli e numerose difficoltà. Interne ed esterne alla coalizione di centrodestra che sostiene l’esecutivo e, a complicare le cose, i tumultuosi scenari internazionali. Certamente Giorgia ce l’ha messa tutta, almeno è questa l’impressione che ho avuto, ma alcuni limiti ed errori strutturali nella composizione del governo hanno creato e ingigantito i problemi. Con risultati deludenti. Infatti, nell’ultimo sondaggio, il 71% degli italiani dice che il governo non ha mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale. Come ha ben argomentato, giorni fa, sul Corriere della Sera, Galli della Loggia, la presidente Meloni ha usato, nella nomina dei ministri, e nella scelta di persone per gli altri importanti incarichi istituzionali, un metodo sbagliato, ritenendo più importante fidarsi della fedeltà al partito e della conoscenza personale, a volte appesantita addirittura dalla familiarità e dalla parentela, piuttosto che dalle capacità che servono per ruoli e funzioni di estrema importanza. Alcuni politici sono venuti, forzatamente in dote, dalla coalizione elettorale (Salvini, Tajani, Nordio, Calderoli, Casellati etc.), altri, appunto, li ha scelti lei (Lollobrigida, Santanché). Così che la presidente ha passato troppo del suo tempo a dover ricucire gli strappi interni alla maggioranza, più che per rispondere all’opposizione, finora piuttosto incerta, divisa e dormiente, quanto all’opinione pubblica, indignata e sconcertata da decisioni e dichiarazioni infelici, avventate e fuori luogo. Detto questo c’è, però, da aggiungere che Giorgia Meloni ha avuto la fortuna - lei e noi - di trovare come ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, un uomo che ha dato l’impressione di saper respingere l’indecente assalto alla diligenza, e che sta dimostrando di saper redigere, con certosina pazienza e con pochissime collaborazioni, la legge di bilancio, pensando, non dico esclusivamente, che sarebbe troppo, ma molto agli interessi della collettività, ricordando, a se stesso, e agli altri, il debito pubblico enorme, che con i tassi in salita rendono la somma, per interessi, assai gravosa, al limite della sopportabilità. Tutto questo mentre il ministro Matteo Salvini, peraltro anche vice presidente del Consiglio dei Ministri, non sa come sprecare decine di miliardi di euro e si trastulla con il suo giocattolo preferito che è il ponte sullo stretto di Messina. Con alleati come la Lega di Salvini (e con il vicesegretario Andrea Crippa) e l’improvvisato nocchiero di Forza Italia Antonio Tajani che cerca di tenere a galla un partito dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi, la navigazione del governo non può che essere sempre incerta e tormentata. Nascono, da questa alleanza stravagante, le voci della necessita di un governo di tecnici, l’ultimo tormento per Giorgia Meloni. Sul palcoscenico internazionale non va meglio, perché, al di là delle dichiarazioni di banale e scontato protocollo, Giorgia Meloni ha poca autorevolezza, lo si vede dagli accordi e dai trattati che non sortiscono quasi mai gli effetti sperati, come sulla gestione dei flussi migratori, un problema enorme che tutti, in Europa e nel mondo, vogliono lasciare volentieri alla Meloni e all’Italia. Come sta a dimostrare l’ultima “crisi” con la Germania. Insomma, mi sembra sia prematuro dare giudizi su questo primo anno di governo, diciamo che, tra poche luci e molte ombre, siamo in attesa di vedere come Giorgia Meloni saprà trovare soluzioni sagge a questioni difficili. Compito arduo con giocatori modesti e indisciplinati, che pensando sempre al consenso e alle elezioni (le prossime, le europee a giugno) si esibiscono in imbarazzanti azioni personali più per il proprio partito che per la squadra di governo.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia
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