Il ministro Nordio, ingenuo e imbarazzante, scopre le carte della politica che cerca l'immunità e non vuole le intercettazioni
Lo
hanno mandato allo sbaraglio. Però il piano era stato studiato bene. Chi meglio
di un ex magistrato, per giunta pubblico ministero, poteva, come ministro della
Giustizia, demolire quello strumento pericoloso di indagine che sono diventate
le intercettazioni, abbinate a tutte quelle nuove, diaboliche tecnologie? E, se sarà necessario, pure qualche altra cosa. Sapevano
che sarebbe stata una cosa vergognosa e allora c’era assoluto bisogno di
affidare il compito, delicato e subdolo, a chi meno di altri poteva creare
sospetti e sollevare proteste. L’opinione pubblica – hanno pensato le menti
raffinate della politica – avrebbe accettato senza troppe reazioni le modifiche
alla legge sulle intercettazioni in maniera tale da renderle impossibili o
comunque inefficaci. Anche i magistrati – hanno sempre ipotizzato i volponi
della politica – non potranno protestare più di tanto, perché si tratta sempre
di un ex collega che conosce i gangli dei codici e delle leggi. Carlo Nordio
sembrava essere, dunque, la persona ideale per la diabolica strategia legislativa
studiata a tavolino, una specie di cavallo di Troia. Con lui in campo, e l’appoggio dei giornali e delle
televisioni di complemento, la battaglia sarebbe stata vinta, senza troppi
affanni. A far scoprire, e rovinare il piano sono state due circostanze
sfavorevoli. La prima, è stata la cattura di Matteo Messina Denaro e la seconda
è stata la sorprendente inadeguatezza del ministro, con le troppe, inopportune,
puerili e infelici dichiarazioni. Carlo Nordio, solo qualche settimana fa, a
chi gli faceva notare che le intercettazioni servono per scoprire i mafiosi e i
terroristi, ha risposto che i mafiosi non usano il telefono e quindi le
intercettazioni non servono per combattere la mafia. Matteo Messina Denaro
aveva due telefonini, e li usava abitualmente, come hanno dichiarato i pazienti
che, come lui, e con lui, facevano la chemio nella clinica privata. E poi sono
arrivate, devastanti per le tesi nordiane, le dichiarazioni del procuratore di
Palermo, Maurizio De Lucia, che, parlando della “borghesia mafiosa” che ha protetto
e favorito la latitanza del boss sanguinario, ha ribadito, urbi et orbi, l’assoluta necessità delle intercettazioni nella
lotta alla mafia. In una situazione così delicata sarebbe stato opportuno il
silenzio o, in subordine, semplici dichiarazioni, accorte e sibilline. Non ha
capito, il ministro, che per ottenere, la modifica della legge sulle
intercettazioni e, di fatto, l’immunità dei politici e dei loro sodali, per
reati come l’abuso d’ufficio, le truffe, la corruzione, l’evasione, il
peculato, etc. doveva mettere in campo tutta la sua esperienza e tutta la sua
credibilità come ex magistrato, come ex pm, e fare tutto con abilità,
sottotraccia, senza fare la guerra perché l’obiettivo da raggiungere è troppo
importante. Invece Nordio, smarrito l’aplomb, che, comunque, è sempre bene
avere quando ci si trova in certi ruoli e in certi contesti, si è convinto di
essere diventato un coraggioso, impavido condottiero e si è trasformato in un
pasdaran della riforma della giustizia, pronto a sfidare tutto e tutti. Esattamente
il contrario di quello che volevano, e si sarebbero aspettati, i politici che
lo hanno fatto eleggere parlamentare e quelli che lo hanno fatto nominare
ministro della Giustizia. I suoi imbarazzanti straripamenti, con le dichiarazioni
contro “i pm che vedono la mafia dappertutto” e “il Parlamento non sia supino
ai pm” hanno indotto, oltre all’Anm, pure i politici a prendere le distanze, come
l’avvocato Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia del Senato,
che ha dichiarato che “le intercettazioni sono indispensabili, guai a
cancellarle”. E, pensate, anche Matteo Salvini a dire di “abbassare i toni”. Ora
c’è la raccolta delle firme per le sue dimissioni. Sul tavolo di Giorgia
Meloni, un’altra patata bollente.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
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