Gli errori di Letta, e gli ultimi sondaggi, aggiungono variabilità e incertezza agli scenari politici
Avevo
scritto, qualche settimana fa, che sulla scena politica ci sono, finora un po’
trascurati anche dai sondaggisti, due poli jolly che potrebbero, dopo le
elezioni, entrare in campo e scombinare alcuni dei progetti che vengono fatti
in questi giorni di vigilia. Si tratta dei 5 Stelle e di Azione-Italia viva. Riepiloghiamo. Enrico Letta, segretario del Pd,
appena c’è stato lo scioglimento delle Camere, ha rotto l’alleanza con il
Movimento 5 Stelle perché - questa la motivazione ufficiale - Giuseppe Conte aveva fatto cadere il governo
di larghe intese con Mario Draghi. E il Pd, subito dopo, ha trovato un accordo
con “Azione” di Carlo Calenda, formando così una coalizione di centrosinistra. Letta,
però, non è rimasto del tutto contento e ha pensato di allargare ancora di più
il suo “campo largo”, imbarcando oltre a “+ Europa” con Emma Bonino, la “Sinistra”
di Nicola Fratoianni e i “Verdi” di Angelo Bonelli; ed ha preso pure, come se
si trattasse dell’arca di Noé, Luigi di Maio, che non sapeva come e dove
alloggiare, con il suo “Impegno civico”. A questo punto Carlo Calenda, non
potendo coesistere con l’estrema sinistra, come era ovvio e assai facile da capire,
ha abbandonato il Pd e si è alleato con Matteo Renzi, formando un polo
centrista “Azione-Italia viva”. Bisogna ricordare, in premessa, che Enrico
Letta, sin dal primo giorno, appena eletto segretario del Pd, ha debuttato con
le sue discutibilissime idee programmatiche: la patrimoniale e lo ius soli.
Così, da subito, ha abbondantemente raggiunto e superato la fama conquistata,
nel calcio, da Comunardo Niccolai, giocatore del Cagliari, ricordato per gli
autogol. Nel, frattempo, Letta ne ha fatti tanti altri, di autogol. E, ora, per
continuare in questa speciale e inconsueta competizione, ha rotto l’alleanza
con i 5 Stelle, che erano nel governo con Draghi e non hanno mai votato contro,
e ha ritenuto opportuno allearsi con Fratoianni che ha votato 55 volte contro
il governo Draghi, cioè sempre. Fratoianni, ha pure dimostrando di non essere
un uomo di stato, condizionato pesantemente solo dalla sua ideologia,
liberissimo di farlo, naturalmente. Certo, si può essere contrari ad un governo,
e questo è del tutto legittimo, ma in una situazione drammatica come quella che
sta attraversando il nostro Paese è impossibile che non ci sia stata mai, nemmeno
una legge, una sola, che non meritasse il consenso di Fratoianni, che, evidentemente,
non ha votato nemmeno quei provvedimenti decisi per cercare di tamponare le
difficoltà e i disagi della povera gente, quella gente che, speranzosa, vota,
da sempre, la sinistra di Fratoianni, e che si aspetta, e pretende, una qualche
tutela dai suoi eletti. Al pasticciato
errore politico, Letta, con questa decisione, ha anche aggiunto un errore aritmetico:
i voti dei 5 Stelle e quelli di Calenda non si possono paragonare a quelli
portati da Fratoianni. Secondo gli ultimi sondaggi, il Pd, unito con tutti gli
altri, avrebbe potuto prendere addirittura il 46% contro il 44% del
centrodestra. Ora, però, sul pennone del Nazzareno sventola la bandiera bianca della
resa incondizionata, e nessuna speranza sull’esito delle votazioni. Senza
Calenda il Pd ha perso, irrimediabilmente, una parte di elettorato centrista e
moderato, che non volendo, per tante possibili ragioni, votare l’alleanza di
centrodestra avrebbe potuto scegliere il Pd. Cosa ora impossibile con l’alleato
di estrema sinistra. Non solo. La scelta di Letta, così, ha indirizzato quel
voto, peraltro ancora incerto, verso i due poli: Azione-Iv e 5 Stelle, che,
infatti, i sondaggi danno in crescita, e ciò può avere delle conseguenze
pesanti in futuro. Farli crescere significa anche assegnare loro un ruolo non
del tutto marginale, come sembrava all’inizio della campagna elettorale. Come
dice Matteo Renzi se dovessero arrivare ad un risultato a due cifre. Non è un
caso, anche se sembra un paradosso, che ad essere preoccupata, dell’aumento dei
voti a Calenda-Renzi e a Giuseppe Conte, sia proprio Giorgia Meloni, la quale teme,
giustamente, che, rinforzando di voti e di seggi i due poli, significhi dare contorni
ed orizzonti a possibili tentazioni di alleanze alternative, a larghe intese o
a surrogati, anche anomale, atipiche e anche contraddittorie, che, in politica,
sono la regola e non l’eccezione, perché il potere, poco importa quale sia la
strada per raggiungerlo, piace e lo vogliono davvero tutti. Il terzo e quarto
polo, che non a caso ho chiamato jolly, se avranno il peso politico che assegnano
loro le ultime previsioni, possono rappresentare insidiose tentazioni sulla
tenuta del centrodestra, seppure vincente. Perché è evidente, al di là delle
questioni e le relazioni internazionali, che pure hanno il loro peso, il
rapporto della Meloni con gli alleati Matteo Salvini e Silvio Berlusconi non è
granitico come vorrebbero far credere. Non sempre coincidono i programmi e le
idee, e, soprattutto, la leadership della coalizione, che Berlusconi precisa che
la Meloni ce l’abbia sì, ma solo nel Fdi. L'ultimo scontro è stato su Viktor Orban. Con Berlusconi che dice: "Se i nostri alleati dovessero andare in direzioni diverse (a proposito di europeismo e atlantismo, ndr) noi non staremmo nel governo". Calenda e Renzi si accarezzano i baffi. Insidie e rivalità, come si vede,tutt'altro che marginali, che aggiungono incertezza a incertezza. Prima e, ancor più, dopo il voto.
Fortunato Vinci – www.liedaliberale.com-
Agenzia Stampa Italia
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