La diaspora dei 5 Stelle
Ci
sono amici che, ancora, mi rimproverano che quattro anni fa, con altri undici
milioni di italiani, alle politiche del 4 marzo 2018, ebbi l’idea di votare il
Movimento 5 Stelle. Tuttavia non sono pentito, sono, semmai, deluso. Ma non
perché allora pensassi che nel Movimento ci sarebbero stati i salvatori della
patria, e che il Paese sarebbe stato miracolato dagli improvvisati statisti in
erba cui pensai di dare, senza conoscerli, la fiducia, per diventare la classe
dirigente del Paese. No, credo che nessuno fece quella scelta per questo. Il
voto fu, prima di tutto - è il caso di ripeterlo per l’ennesima volta - un voto
di protesta, verso tutti quei partiti tradizionali che avevano occupato in
maniera indecorosa le istituzioni, e in maniera, forse, ancora più indecorosa,
le avevano umiliate e mal ridotte, facendo poco o nulla per i cittadini e per il
Paese. E con una legge elettorale altrettanto indecorosa avevano sempre
candidato solo amici e amici degli amici. Non dimenticandosi, naturalmente,
delle amiche. Su questo diffuso, e generalizzato, discredito dei governanti di
lungo corso, credo che pochi possano sostenere che, allora, non ci fossero
validi motivi per non essere, un po’ tutti, abbastanza irritati. Subito dopo,
però, c’è da aggiungere che, nello stesso tempo, nessuno aveva previsto un
successo così enorme, certamente straordinario del Movimento 5 Stelle, tanto da
diventare, dal nulla o quasi, il primo partito, con il 32,7% dei voti. Questa
sorprende affermazione ha cambiato le prospettive del Movimento e le aspettative
di noi elettori. Noi volevamo un Movimento di opposizione, pensavamo che
potessero essere in grado di porre un argine, meglio di altri, allo strapotere arrogante
dei partiti e delle mezzecalzette che quei partiti rappresentavano; abbiamo
votato 5 Stelle perché potessero diventare, con quel piglio deciso e determinato,
mostrato nelle piazze, gli attenti guardiani delle istituzioni. Abbiamo votato,
insomma, per avere, finalmente, un controllo, che è poi il compito principale
di una vera, libera e responsabile opposizione. E, invece, il successo
elettorale ha cambiato i ruoli, i compiti, le speranze, gli obiettivi. E dalla
piazza ai palazzi del potere il passo è stato troppo per quelle gambe. Si sono
visti subito i limiti, con, in primis,
un mostruoso, pesantissimo “deficit politico”, che, ancor oggi, essi stessi si
scambiano, l’un l’altro, nel Movimento. Le beghe, peggio di quelle
condominiali, con polemiche infinite, e con le prime espulsioni per versamenti di
soldi, da dare o non dare, sono state di bassissimo livello, del tutto incompatibili
con il nobilissimo, e pesantissimo, ruolo che tutti avevano assunto per rappresentare
e governare il Paese. Nel primo governo con la Lega ed il secondo con il Pd, nel
mezzo di una drammatica pandemia, ci sono state, con Giuseppe Conte capo del
Governo, luci e ombre, ma è mancata, e manca ancora, la guida del Movimento,
perché ci sono molti che ancora vanno in ordine sparso. L’ultima vicenda,
quella di Vito Petrocelli, l’ex grillino ed ex presidente della Commissione
Esteri, fatto decadere perché filoputiniano, e poi i 5 Stelle, divisi sul voto,
hanno consentito a Forza Italia nominare Stefania Craxi, presidente della
Commissione, è sintomatica, ed è la sintesi di questo malessere interno. Non è
grave perché il Movimento ha perso un posto di prestigio, è grave perché è
l’ennesima volta che il Movimento mostra limiti di tenuta politica imbarazzanti.
Non è ancora diventato un gruppo coeso con le conseguenti responsabilità. Che
al proprio interno, come è giusto che sia, ci siano discussioni, dibattiti,
analisi, trattative, va bene, ma poi, nel momento delle votazioni, il Movimento
deve essere unito e votare compatto, altrimenti perde il potere, com’è successo
più volte, che gli hanno dato gli elettori. Giuseppe Conte, scelto per guidare
il Movimento, sembra sia su un’imbarcazione governata con molto affanno, soprattutto
perché a remare, c’è pure, ma in direzione opposta, Luigi Di Maio, e l’imbarcazione
rischia, da un momento all’altro, di affondare, e di scomparire tra i pescecani
della politica. Molti errori e tante, troppe incertezze sono nati proprio da
questo non aver saputo trovare, in quattro anni, il modo per dare
un’organizzazione stabile al Movimento, seppure con le attenuanti e i
comprensibili ritardi per la pandemia. Tutto questo è grave, come è grave il
fatto che finora abbiano abbandonato i 5 Stelle, volontariamente o perché
espulsi, più di cento parlamentari, 64 deputati e 37 senatori. Con il rischio
che gli elettori, delusi e sconcertati, non trovando di meglio, pensino all’astensione
in massa, come è già avvenuto, ma la rinuncia al voto, in democrazia, è un
messaggio grave, serio e allarmante. Di cui tutti dovrebbero tenere conto.
Fortunato Vinci – www.lidelaiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
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