Alcuni pesanti dubbi che emergono nella riforma del processo penale

 

C’è una domanda che è legittimo porsi nel vedere il faticoso percorso della riforma del processo penale. Lo Stato vuole veramente punire i colpevoli e dare giustizia alle vittime? Oppure pensa che sia meglio una società senza carceri, come scrive oggi mons. Vincenzo Paglia, presidente della pontificia accademia per la vita, ispirandosi al Vangelo?  L’ideale sarebbe – rispondendo a monsignore – non una società senza carceri, ma una società senza delinquenti, e quindi senza vittime, le carceri sono i rimedi terreni, imperfetti e precari, per (tentare di) arginare le violenze, la medicina di una società che cerca di difendersi da chi non rispetta il prossimo e turba e sconvolge la convivenza civile. Se mons. Paglia auspica una società senza carceri, ci sono tanti, interessati, che nelle carceri non vorrebbero mandare nessuno. Con lo stesso risultato, ma senza scomodare il Vangelo, con un percorso ambiguo e sospetto. È questa l’amara impressione che si ha leggendo le prime sommarie notizie sulla riforma del processo penale, fatta, meglio, imposta, qualche giorno fa, nel Consiglio dei ministri dal presidente Mario Draghi e dal ministro della Giustizia, Marta Cartabia. Si tratta di un disegno di legge che deve essere approvato dal Parlamento. E visto che i 5 Stelle non sono tutti d’accordo, anche se in Cdm i ministri grillini hanno votato tutti a favore, il passaggio alle Camere, senza modifiche, non è affatto scontato. E mi pare che sia, peraltro, del tutto normale e legittimo in quanto la funzione legislativa spetta al Parlamento e non al governo, come sa benissimo Marta Cartabia, che prima di diventare ministro, è stata presidente della Corte Costituzionale. Per questo sorprende, e non si capisce, quando la stessa Cartabia dice che si “aspetta in Parlamento la lealtà dei partiti”.  Il che vuol dire: approvate la riforma così com’è, senza toccare nulla. E la funzione legislativa del Parlamento in cosa consiste? Ma com’è questa riforma? Nasce, lo ha detto lo stesso ministro Cartabia in una intervista al Corriere della Sera, sul dettato della Costituzione e le norme europee. “Il Greco, l’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa, ha richiamato l’Italia per l’alto numero di prescrizioni, ma l’Italia è anche il Paese con il maggior numero di condanne della Corte Europea dei diritti dell’uomo per violazione della ragionevole durata del processo”. Muoversi tra questi paletti europei significa che bisogna accorciare i tempi dei processi ed evitare che si prescrivano. Ma va in questa direzione la riforma Draghi-Cartabia? Apparentemente sì, fissando tempi ridotti nei tre gradi di giudizio: primo grado, appello e Cassazione, ma accorciare i tempi dei processi, in teoria, non significa ottenere la ragionevole durata del processo, in pratica vuol dire il contrario, vuol dire non farlo per niente il processo, mandando al macero migliaia di procedimenti, centocinquantamila secondo alcune fonti, sui quali cade irrimediabilmente la mannaia dell’improcedibilità. Perché non basta, ovviamente, fissare i tempi, bisogna agire a monte, cioè creare i presupposti, le condizioni perché la macchina giudiziaria, ancora farraginosa e senza personale, sia messa in grado di poter rispettare la tempistica prevista dalla riforma. Infatti, a strettissimo giro di posta, tanti magistrati hanno fatto notare che sono tempi impossibili da rispettare visto che gli uffici giudiziari sono invasi di fascicoli che è impossibile smaltire nei tempi stabiliti. Cose, peraltro, che avrebbero dovuto sapere al ministero senza bisogno del ripasso dei giudici. Tutto questo dà l’impressione che vada nella direzione indicata da mons. Paglia, le carceri ci saranno ancora, ma rimarranno quasi vuote. Così, però, rimarranno senza giustizia le vittime e senza speranza le attese dei loro familiari.

   Fortunato Vinci- www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

 

 

 

Commenti