Le correnti, il germe del clientelismo che infetta la credibilità della magistratura
È un Paese senza
certezze. In tutti i campi. Si naviga a vista nella massima superficialità ed
improvvisazione. Dalla politica all’economia, dalla sanità alla giustizia.
Siamo sconfortati, oltre che seriamente preoccupati. La tragedia che ci sta
tormentando, nella disperata lotta al Covid-19, non ci ha consentito, forse, di
percepire in tutta la sua gravità la faccenda che ha coinvolto parte della magistratura
con le sconcertanti intercettazioni dell’ex sostituto procuratore di Roma ed ex
componente del Consiglio superiore della magistratura, Luca Palamara, e la
conseguente inchiesta della Procura di Perugia. Le chat di Palamara, in un
misto di collegamenti con alcuni politici, dimostrano, come sostiene Eugenio
Albanova, segretario del gruppo della sinistra giudiziaria “che molti
magistrati chiedevano ed ottenevano individualmente le sponsorizzazioni per
nomine e promozioni. Anzi c’è una correlazione tra la perdita di idealità e
identità culturale dei gruppi e l’aumento di pratiche clientelari”. Anche il
Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che del Csm è anche il presidente, ha
fatto, dell’imbarazzante questione, una sintesi impietosa: “La degenerazione
del sistema correntizio e l’inammissibile commistione fra politici e
magistrati”. Il Csm è il garante dell’autonomia e l’indipendenza della
Magistratura, da “ogni altro potere” e a garanzia di queste prerogative ha
competenza, secondo quanto stabilisce l’art. 105 della Costituzione, “sulle
assunzioni, assegnazioni e trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari
nei riguardi dei magistrati”. Si capisce che se queste funzioni, delicatissime,
non vengono svolte nel massimo rigore e con la massima serietà, o, peggio,
degenerano nel clientelismo com’è successo, viene meno, con la credibilità
della magistratura, la giustizia, uno dei pilastri su cui poggia lo Stato di
diritto. Ora, in attesa che il Parlamento pensi a come riformare il Csm, come
sollecitato dal Presidente della Repubblica, è il caso di riflettere sulle
correnti, con una domanda di fondo. Che ruolo hanno, e sono compatibili con l’importanza
delle decisioni da prendere, le correnti all’interno di un organo, come il Csm,
con tante delicate competenze? Penso di
no. È vero, come sostiene qualcuno che c’è la libertà di associazione e in
questo caso la rivendicazione di un ruolo culturale, ma la corrente è come un
partito e, come tale, tende a favorire gli iscritti e i sostenitori. E favorire
qualcuno, ignorando meriti e anzianità di altri, significa non solo fare
un’ingiustizia e provocare un danno, significa anche, e questo è forse ancora
più grave, incrinare e compromettere l’indipendenza del magistrato, presupposto
della funzione giurisdizionale. Perché, non v’è alcun dubbio, che quando
l’ambizione di un magistrato si combina con il potere della corrente alla quale
appartiene, si creano le condizioni per
provocare un vulnus alla
giustizia. Se l’aspirazione di ricoprire incarichi importanti e di prestigio,
come andare alla procura di Roma o a quella di Perugia (altrettanto importante
perché ha competenza per i procedimenti nei confronti dei magistrati di Roma) è,
per un magistrato, del tutto legittima, non lo è più se per raggiungere
quell’incarico ricorre alla corrente o al sindacato. Perché significa cedere
parte della propria indipendenza, anche inconsciamente, alla corrente o al
sindacato che lo ha aiutato e lo potrebbe aiutare in seguito. E dunque le
correnti nel Csm, che sono in qualche situazione pesantemente intervenute nelle
scelte (pro e contro), andrebbero abolite. E le assegnazioni degli incarichi,
dopo aver verificato i curriculum di tutti i candidati, credo debba avvenire,
alla presenza del Capo dello Stato, con il sorteggio. Così come con il sorteggio
dovrebbero essere scelti i componenti del Csm. I primi passi per eleminare
incrostazioni che tanti danni hanno provocato alla giustizia e alla credibilità
della magistratura.
Fortunato
Vinci
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