Luigi Di Maio , i motivi di una scissione e la formazione di una squadra in cerca di un campo dove giocare

 

Leggere le cronache di politica sui giornali, o guardare quello che va in onda in tv, è uno spasso. Si tratta, però, di una comicità amara, e non potrebbe essere diversamente trattandosi di argomenti di estrema importanza, che riguardano il presente ed il futuro del nostro Paese. L’ultima novità, peraltro ampiamente prevista (vedi “La diaspora dei 5 Stelle” del 23 maggio) è la scissione di Luigi Di Maio, colonna, ormai ex, del Movimento 5 Stelle che con altri 60 parlamentari (50 deputati e 10 senatori) ha fondato un nuovo partito “Insieme per il futuro”, abbandonando al loro destino Giuseppe Conte e quel che resta dei 5 Stelle. Le ragioni della scelta di Di Maio sono chiarissime e sono altre, non, come è stato detto, per le critiche (ma, in aula, con voto a favore) di Giuseppe Conte al governo per le armi all’Ucraina. Questa è una provvidenziale motivazione, ma per pudore, per far scena, la verità è un’altra, sottintesa ma non tanto. La nave costruita da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio si è infranta su uno degli scogli, contenuto nello statuto dei 5 Stelle, messo da essi stessi, e riguarda il limite dei due mandati elettorali. I fondatori del Movimento non potevano immaginare il successo elettorale del 4 marzo 2018 e il nuovo e insperato ruolo imposto dai voti. Pensavano, peraltro come tutti, che il Movimento avrebbe ottenuto i voti per fare, quello per cui era stato concepito: un partito, modesto nel peso elettorale, e di opposizione. Nient’altro. Compito che avrebbe potuto fare, sicuramente, meglio di quanto non abbia fatto governando il Paese. Invece il Movimento è diventato, senza alcun merito, protagonista della politica italiana. Se, però, uno è nato attaccante, deve fare l’attaccante, non può stare in difesa, e nemmeno fare melina a centrocampo. Sa fare solo quello e non è adatto a ricoprire altri ruoli, s’impappina lui e danneggia la squadra. E, purtroppo, anche il Paese. Come Movimento di opposizione due legislature potevano anche essere accettate, ma se sei giovane e governi - più o meno bene, poco importa - scopri nuovi e inimmaginabili, infiniti orizzonti, fatti di soldi e di potere. E diventa impossibile, pazzesco, lasciare, abbandonare questi straordinari privilegi perché così c’è scritto nello statuto. Si cambi lo statuto. Molti di loro, peraltro, senza arte né parte, nella vita precedente sbarcavano alla meno peggio il lunario al limite della povertà, come si fa a pretendere che lascino questa pacchia perché lo hanno detto Grillo e Casaleggio, e ora si ostina a volerlo pretendere anche Conte? Si tratta, in verità, di uno di quei dogmi demenziali che non hanno senso. Non si può dire prima se va bene una o due legislature, dipende. Per un incapace è troppo anche un mese, ma per un bravo amministratore è irragionevole imporgli di lasciare dopo due legislature. Dipende da quello che da politico ha dimostrato di aver fatto e, comunque, di quello che ha dimostrato di saper fare. I limiti del Movimento 5 Stelle sono stati proprio questi: l’ostinazione su alcuni punti. Come con il reddito di cittadinanza. Misura solidaristica meritevole di apprezzamento, ma che andava meglio definita nelle modalità e nei controlli, se è vero che almeno 29 mila persone lo hanno percepito senza averne diritto. Un’ ipotesi attuativa migliore poteva essere quella di far gestire i fondi del reddito di cittadinanza ai comuni e farli distribuire a chi ne aveva diritto e bisogno, però in cambio di una certa disponibilità per le esigenze delle comunità. Vedere, da Nord a Sud, le strade vergognosamente dissestate, le erbacce che coprono dappertutto, le piazze e le spiagge oltraggiate da montagne di rifiuti e sapere che lo Stato spende miliardi di euro per mantenere centinaia di migliaia di persone, giovani e in età lavorativa, a non fare niente, indigna alquanto, ed è inaccettabile.  Come faccia Giuseppe Conte a non capirlo non si sa. Certo, sa, però, che per i 5 Stelle il reddito di cittadinanza è molto importante, non si può chiamare voto di scambio, ma, con buone ragioni, si può dire che rappresenta un’assicurazione sulla vita dei 5 Stelle. Uno zoccolo duro su cui, suppongo, poggiano le speranze elettorali di Giuseppe Conte.  Ma Luigi Di Maio che farà, ora, con i suoi adepti? Con il nuovo partito sono tutti alla ricerca di qualche candidatura. Quasi impossibile. Soprattutto dopo il taglio del numero dei seggi in Parlamento, fatto, peraltro, proprio dai grillini.  Intanto il ministro degli Esteri va avanti presentando la sua nuova squadra, gli manca solo il campo in cui giocare. E non mi sembra un dettaglio.         

Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia

Commenti

  1. L’epilogo del movimento 5 stelle era scritto da tempo. Le sue origini del vaffa, semplici e facili, non poggiavano su argomenti di proposta ed innovativi, ma solo sulla inadeguatezza del sistema politico. A questa considerazione, pur avendo una base di verità, non sono seguite proposte operative degne di un paese come l’Italia. In altri termini alle proteste non sono seguite proposte condivisibili e fruttifere per l’intero paese. In altre parole il governo di un paese è un pianeta che non ha trovato, nella maggior parte dei casi attori/interpreti con competenze all’altezza.

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