L'archivio giudiziario, e le dichiarazioni di Morra, turbano la competizione elettorale a Limbadi
Limbadi al voto, dopo più
di due anni di gestione commissariale, in seguito allo scioglimento per
(presunte) infiltrazioni mafiose dell’amministrazione di Pino Morello,
rappresentava un boccone troppo ghiotto e troppo facile, quasi scontato, per
interferenze, più o meno interessate, nella campagna elettorale, che finora si
era svolta nella massima tranquillità e all’insegna delle reciproche
manifestazioni di stima tra i due candidati. Una “ventata di civiltà” avevo
scritto qualche giorno fa. Ma a Limbadi, dove per definizione, e a prescindere,
nell’immaginario collettivo sono (siamo) tutti mafiosi è impossibile trovare
due candidati non mafiosi. Il compito, di dimostrare il teorema, è di un
giornalista che scrive per un sito che, per dovizia di particolari di cronaca
giudiziaria, sembra la sezione staccata della cancelleria della Procura della
Repubblica. E anche in questa occasione ci sono i fascicoli giudiziari, scovati
nell’archivio, a fare da supporto alla tesi. C’è soprattutto la mafia,
naturalmente, subito, nel titolo, ad evitare equivoci: “Mafia, politica ed
elezioni a Limbadi: gli atti delle inchieste e i candidati” e ad abundantiam, la foto del procuratore
di Catanzaro Nicola Gratteri, il titolare della famosa inchiesta “Rinascita
–Scott”, che non c’entra nulla. E dopo aver detto che nel programma di entrambi
i candidati ci sono “la legalità e il ripudio di qualunque forma di delinquenza
- organizzata e non, ci sono, scrive il giornalista, “i fatti interessanti” (giudiziari,
s’intende) che rendono vani, già da adesso, prima ancora di cominciare i propositi
di legalità dei due candidati. Il primo candidato ad essere sottoposto alla Tac
della legalità è Rosalba Sesto, medico, guida la lista n. 2 “Limbadi, libera e
democratica”. È stata consigliere di minoranza nell’ultimo consiglio sciolto
per mafia. Quali sono i suoi carichi pendenti? Non ce ne sono. Possibile?
Possibile. Ci sarà qualcosa sul marito, Aurelio Bruzzaniti, originario di Africo
(RC) odontoiatra, morto più di un anno fa, che tra l’altro aveva fatto il vice
sindaco nel Comune di Limbadi per due legislature. Nulla, nemmeno su Aurelio.
Allora è il caso di allargare l’orizzonte e si scopre che ad Africo la famiglia
Bruzzaniti, in effetti, ha avuto qualche guaio con la giustizia, sia il cognato
di Rosalba, Giovanni sia il suocero Rosario. Ma sarebbe stato più logico, e più
pertinente, sollevare dubbi e rilevare questi rapporti, per il fratello ed il
padre, ad Aurelio, quando era vicesindaco, ma allora l’attività politica di Aurelio
era sotto l’egida di un partito e non era il caso di trovare niente. Sfogliando tra le carte, il giornalista ha
trovato anche qualcosa sul figlio della dottoressa Sesto, Rosario, ingegnere.
In una inchiesta, “Costa pulita”, risulta che si sia incontrato, nell’ambito
della sua professione, con Francesco Accorinti e Pantaleone Mancuso. Ma qual è
il reato? Non c’è, tanto che non è nemmeno indagato. E allora perché riportare
l’episodio? Per “completezza d’informazione”, naturalmente.
Nella lista n.1 a
candidato sindaco c’è il dottor Pantaleone Mercuri. Quali sono i reati
commessi? Nemmeno uno. Non si trova nulla nemmeno sulla moglie e i figli. Allora
l’inchiesta, che è fatta ad ampio spettro, come gli antibiotici, ha scoperto
che da qualche settimana è indagato, il nipote, Giuseppe Mercuri. Siamo solo
alle prime fasi dell’indagine, non si sa bene quali siano le colpe e le
eventuali imputazioni ipotizzate, perché ufficialmente Giuseppe ancora non ha
ricevuto nulla dalla Procura della Repubblica, e continua a lavorare
regolarmente. Poi c’è la famiglia Mancuso, di cui sono state pubblicate tre
fotografie e non si capisce perché e cosa c’entrano. Coloro che hanno commesso
dei reati sono in carcere, gli altri sono liberi cittadini come tutti, e in un
piccolo centro come Limbadi, con poco più di tremila anime, è facile che
abbiano, come tutti, le loro amicizie, che, a volte, nascono nei primi anni di
vita, tra i banchi di scuola, giocando a calcio o a briscola, e persistono e si
cementano nel tempo, non necessariamente per delinquere. Non sono amicizie che
creano imbarazzo, come potrebbero essere altrove, sono amicizie e basta. È
questo l’ambiente. Quando nel titolo di un articolo c’è la parola mafia è del tutto
normale che si interessi l’antimafia. E così è stato anche in questo caso.
L’articolo è stato ripreso dal presidente della commissione parlamentare antimafia,
Nicola Morra, il quale ha invitato i cittadini di Limbadi “a prestare
attenzione” e ha annunciato “pubblicheremo gli impresentabili dei comuni
sciolti per infiltrazione mafiose”. Bene, anzi benissimo. Invece di annunciarlo,
però, doveva averlo già fatto. Aspettiamo con ansia e curiosità, purché questi
nomi arrivino prima delle votazioni che, com’è noto, si terranno domenica 20 e
lunedì 21 settembre (fino alle 15). In attesa, è opportuno ricordare l’art. 27
della Costituzione. “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è
considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato”. Ora non si capisce perché Matteo Renzi e Maria
Elena Boschi possano, in Parlamento, richiamare il rispetto di questo articolo
quando i rispettivi genitori sono stati indagati e lo stesso rispetto non lo
possano chiedere i cittadini di Limbadi.
Fortunato Vinci - www.lidealiberale.com
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