Due mesi di bla bla per convincerci, poi, a votare quelli che vogliono i segretari dei partiti
Dopo
le dimissioni di Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere è cominciata, in
vista del 25 settembre, giorno delle votazioni, la campagna elettorale. Alla
grande. Ora che con il dimezzamento delle poltrone alla Camera e al Senato, i
posti sono ridotti, servono più balle del solito per convincere quei pochi ad
andare a votare. Silvio Berlusconi è stato il più lesto: ha già schierato le
sue truppe, giornali e televisioni, e si è già espresso sul suo sontuoso programma
demagogico “pensioni a 1.000 euro (costo sui 40 miliardi, ndr) e un milione di alberi (il Pnrr ne prevede 6 milioni, ndr)” e, naturalmente, come al solito,
la diminuzione delle tasse. Ora, tutti i
giornalisti a busta paga hanno l’obbligo di arrampicarsi sul nulla, per due
mesi, per cercare di dimostrare, come peraltro avevano fatto, pateticamente e inutilmente,
nella campagna per il Quirinale, che l’uomo della provvidenza non è Mario Draghi,
“stanco e irriconoscente”, ma è il loro padrone, Silvio Berlusconi. Pensate che
quel poveretto del direttore de “il Tempo” (a volte ti fanno pena), sabato
scorso, a tutta pagina ha scritto, a caratteri cubitali, “SILVIO C’E’”. Una
pietra miliare sulla strada dell’affossamento della credibilità del giornalismo.
Sulla scia di Berlusconi, che ha risposto, con la ruvidezza che gli è propria,
“ingrati, senza seguito, riposino in pace”, a chi ha abbandonato Forza Italia
(Mariastella Gelmini, Renato Brunetta, Mara Carfagna) ci sono le altre
inevitabili mobilitazioni perché il problema della conquista dei seggi riguarda
un po’ tutti gli schieramenti. Non vi è alcun dubbio, infatti che nessun
partito, da solo, è in grado di raggiungere la maggioranza. E, allora, servono,
patti, alleanze, aggregazioni tra forze che abbiano, nel programma elettorale,
qualcosa in comune. E se non ce l’hanno fanno finta di averlo, l’importante è
prendere i voti, ingannando gli elettori. Lo stare insieme, però, è, spesso, fonte
di contrasti e rivalità tra i leader, come è il caso del centrodestra con Fdi,
Lega e Forza Italia. Tutti vorrebbero comandare tra Meloni, Salvini e
Berlusconi. Proprio queste rivalità e lo sfaldamento dei 5 Stelle offrono
margini interessanti a tutte quelle forze, ancora modeste, che si pongono al
centro. Ci vuole stare Matteo Renzi con Italia viva, Carlo Calenda con Azione,
Giovanni Toti con Cambiamo! Luigi Di Maio con Insieme per il futuro e altri
minuscoli partiti. Il Pd che pensava di aver trovato l’ideale alleato nei 5
Stelle di Giuseppe Conte, dopo l’affondamento di Mario Draghi, ha cambiato idea
e cerca altre forze nel “campo largo” immaginato dal segretario Enrico Letta.
Insomma molte trattative, in poche settimane, per cercare di formare le liste e
offrire agli elettori il menu meno indigesto possibile. Ma è assai probabile
che ai seggi vada, comunque, meno del 50% degli aventi diritto. Fosse un
referendum non avrebbe valore, ma con le elezioni politiche, per tante e ovvie
ragioni, non si può annullare tutto. La maggioranza che non vota non lo fa per
un banale capriccio, si rifiuta di andare al seggio per non avallare le scelte
dei segretari dei partiti. Perché sono loro (6/9) che decidono i componenti il
Parlamento, non gli elettori. La legge elettorale consente questo obbrobrio
costituzionale, in palese contrasto con l’art. 1: “La sovranità appartiene al
popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Come mai non si scandalizzano i
costituzionalisti che affollano i talk show? Tacciono, perché, altrimenti, non
li chiamano più. E perdono il sostanzioso gettone di presenza. Ma si potrebbe
dare peso e importanza a chi non vota? Certo che si potrebbe. Basterebbe -
modificando la Costituzione - che i seggi della Camera e del Senato non siano
fissati, e si facciano dipendere dalla partecipazione degli elettori. Se la
partecipazione è del 50% i seggi si ridurrebbero della metà. Come sarebbe anche
giusto e doveroso, perché chi non è andato a votare, nell’astenersi, ha preso,
comunque, una decisione, che non può e non deve essere ignorata; vuol dire che non
ha trovato, nelle liste bloccate, nessuno meritevole del suo voto, in grado di poterlo
rappresentare in Parlamento. Ignorare completamente le decisioni della metà
degli elettori, inneggiando, poi, alla vittoria, come se nulla fosse, mi pare
del tutto inaccettabile, e di una gravità inaudita.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com
– Agenzia Stampa Italia
E così che va avanti L Italia, da un po di tempo . Il tuo punto in alcune cose mi trovo d accordo . Bene
RispondiEliminaGiacinto
RispondiEliminaSiamo ai soliti balletti teatrali in sintonia con la legge elettorale: il popolo scegli personaggi già selezionati dai capipartito. Il panorama politico risulta davvero preoccupante e abile nel far fuori chi mostra buon senso, competenza e responsabilità.Speriamo bene….
RispondiEliminaSperiamo che qualcuno si ricorda del passato di questi poveretti che hanno governato per un ventennio , il peggio dovrà ancora emergere purtroppo ma se andranno nuovamente al governo faranno ancora delle nuove leggi per affossare tutti i loro malfatti.
RispondiEliminaIo già da s,indora sono molto più preoccupato